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N°6 Pagine Marxiste - Gennaio 2005
Una rivoluzione nella continuità
UCRAINA

Dopo la Georgia anche in Ucraina i risultati delle elezioni presidenziali del 21 novembre 2004 sono stati invalidati; il terzo turno del 26 dicembre ha segnato la vittoria di Viktor Yushchenko. Effetto della vasta mobilitazione delle masse? Vittoria della democrazia in un paese finora erede del dispotismo asiatico? Prevalere del "cliente" della finanza americana sul "vassallo" della Russia?

In un paese che rischia la spaccatura se il suo asse si spostasse troppo radicalmente a Est o a Ovest, la vittoria di Yushchenko segna un riposizionamento delle frazioni della borghesia ucraina nei rapporti internazionali che sembra escludere violenti rivolgimenti. Area chiave per i rifornimenti energetici all'Europa, l'Ucraina, da sempre contesa fra Russia ed Europa, è oggi oggetto di un più deciso intervento Usa. A quelle masse che hanno mobilitato sfruttandone l'uno i timori e l'altro le speranze di miglioramento, i due candidati hanno avuto e avranno ben poco da offrire.


Dopo l'elezione di Yushchenko si è diffusa la notizia che una parte consistente dei servizi di sicurezza si era opposta all'ipotesi di intervenire militarmente contro i manifestanti. A Kiev quindi non ha semplicemente "vinto la democrazia", anche se l'- ampiezza e la tenuta della mobilitazione popolare sono state notevoli. Né si possono ridurre gli avvenimenti a uno scontro fra fantocci al servizio dello straniero, benché sia più che credibile che l'uno, Yushchenko, sia stato ampiamente foraggiato da capitali americani, e l'altro, Yanukovych, dalle società russe dell'energia. I due candidati, che entrambi provengono dalla ex nomenklatura russa e conoscono il russo meglio dell'ucraino, espressione della resa dei conti fra gruppi di interesse ucraini, al servizio di questo scontro sono riusciti ad arruolare giovani e lavoratori, che sono scesi in piazza generosamente. Come sempre in quella "indagine di mercato per le frazioni borghesi" che sono le elezioni, le lobby d'interesse, che si affrontavano per definire il loro peso interno al paese e per orientare la posizione dell'Ucraina nel quadro delle alleanze internazionali, hanno usato ideologie di forte presa popolare per garantirsi la vittoria. Nel Centro-Ovest le parole d'ordine sono state quelle della democrazia, della lotta alla corruzione, per una vita più decente, ad Est i minatori hanno ritenuto di difendere i loro posti di lavoro dal liberismo occidentalista. La borghesia usa a proprio vantaggio una leva oggettiva, cioè una situazione sociale insostenibile, di cui essa stessa è artefice, e la speranza da parte di lavoratori e studenti di un avvenire migliore.

Movimento di piazza e situazione sociale

Se la stampa russa ha denunciato i manifes tant i di Kiev come "sovvenzionati" dai dollari americani, la stampa occidentale ha ironizzato sulle manifestazioni pro Yanukovych dei minatori del Donbass. I quali hanno chiaro che il liberista Yushchenko intende tagliare un 40% dei loro posti di lavoro, chiudendo le miniere inefficienti. Ma cosa hanno loro offerto il governo Yanukovych e gli eredi del capitalismo di Stato? Essi hanno iniettato una media di 900 milioni di dollari l'anno nelle miniere concedendo ai minatori il diritto di lavorare per salari di fame, saldati saltuariamente, in una condizione d'estrema pericolosità. Secondo il Ministero del Lavoro ucraino (dati per difetto) dal 1991 al 2004 sono morti per incidenti sul lavoro 3 700 minatori, gli ultimi 31 nel disastro della miniera di Krasnolymanska presso Donetsk, nel luglio 2004. In media un morto per ogni 243 mila dollari di sussidi carpiti dagli oligarchi, che hanno contemporaneamente lucrato sulla riduzione delle norme di sicurezza.
Nelle regioni occidentali d'altronde non stupisce che soprattutto i giovani ma anche i lavoratori si siano mobilitati per Yushchenko, che impersona il miraggio di una società meno corrotta e più occidentalmente prospera, un avvicinamento ai modelli di vita dell'Occidente. Modelli di vita di cui sono involontari propagandisti quei milioni d'ucraini (da uno a 4) che lavorano semi-clandestinamente all'estero, dove si recano con visti turistici che costano anche 1500$ in un paese dove il salario medio mensile si aggira sui 50$. Molti sono donne e sono una presenza evidente anche in Italia. Essi inviano, soprattutto nelle regioni occidentali da cui provengono, rimesse annuali dell'ordine di 100 milioni di dollari.

Fra il 1992 e il 1999 (l'Ucraina è indipendente dal dicembre '91) le variazioni del PIL sono state sempre negative, tranne una breve ripresa nel '97. Dal 2000 invece il PIL aumenta (+ 5,8% nel 2000, + 9,1% nel 2001, + 9% nel 2002, + 9,4% nel 2003 e una stima di +12,5% nel 2004). Fatta 100 la produzione industriale del '90, da quota 43 del '96 si è risaliti a 87 nel 2003.
Fra il '90 e il '95, mentre il PIL crollava, le spese statali passavano dal 31,4% del PIL al 50-70%. Poiché individui e imprese evadevano il fisco e si rifugiavano nell'economia sommersa, il governo finanziò il deficit con emissione selvaggia di moneta e un'inflazione del 10.650% divorò i salari e le pensioni. Infine le riforme liberiste della metà degli anni '90, volute da Yushchenko, allora a capo della Banca Centrale, secondo il Wall Street Journal "uccisero due milioni di contadini e pensionati".
Fatto 100 il salario reale medio del '90, nel '97 esso crollò a 35. I dipendenti delle imprese di Stato sono pagati con ritardi da sei mesi ad un anno (nel febbraio 2000 il governo doveva 1,2 miliardi di dollari di salari arretrati). La situazione è peggiore anche rispetto agli altri paesi dell'ex blocco sovietico: nel 2000 il salario medio era di 50 dollari al mese (contro i 150 dollari della Russia e i 400 della Polonia - fonte FMI). Fra il 1990 e il 2000 la speranza di vita è diminuita di 5 anni (da 72 a 67 anni) e la popolazione è passata da 52,6 a 47,7 milioni d'abitanti (oggi si stima che siano 47 milioni); l'analfabetismo fra i giovani, soprattutto nelle campagne, è triplicato, dilaga la malnutrizione, è raddoppiata l'incidenza di tubercolosi ed epatiti, consultori e ambulatori mancano degli strumenti più elementari (dai termometri alle bende) e i medici non ricevono il salario per mesi. Non c'è insulina per i diabetici. Aumenta l'alcoolismo, l'uso di droghe e l'incidenza dell'- Aids. I poliziotti, che non sono pagati regolarmente, si auto-sovvenzionano taglieggiando la popolazione.
Anche negli ultimi quattro anni di ripresa economica, poiché essa è dovuta in parte alla forte svalutazione della hrivna (la moneta nazionale), la maggior parte degli ucraini ha conosciuto solo povertà e disagio economico. Nel frattempo un pugno di oligarchi ha trovato le condizioni favorevoli al proprio arricchimento e alla conquista di tutte le leve del potere.

Uno scontro fra clan di oligarchi

Al momento dell'indipendenza, in Ucraina, come in Russia, esiste una borghesia di Stato che nelle more di un trapasso non certo lineare dal capitalismo di Stato a un'economia semi-privatizzata accumulerà velocemente ingenti ricchezze, ad esempio vendendo sul libero mercato materie prime (fra cui il gas) o prodotti acquistati a prezzi fissati dallo Stato (più bassi), con denaro preso a prestito a interessi di favore dalle banche di Stato, oppure grazie alle posizioni di potere dentro la nomenklatura, godendo di sussidi e commesse. Gli ex manager di Stato mettono le mani sulla maggior parte delle imprese privatizzate oppure proseguono, accumulando ingenti patrimoni privati, come manager delle imprese statali, di cui scoraggiano la privatizzazione o la penetrazione degli investitori esteri.
Questa nuova borghesia è organizzata in clan regionali, che si erano formati già nell'Ucraina sovietica a causa della specializzazione produttiva delle aree: Donetsk era il cuore dell'attività mineraria; Kharkov il centro della produzione di carri armati e macchine utensili; Dnepropetrovsk e Kiev sedi dell'industria missilistica ecc.

I clan esprimono uno o più partiti e a partire dal '98 i loro capi si sono direttamente insediati in parlamento, dove sono iper-rappresentati (127 seggi su 459, cioè il 28%). Un seggio costa fino a 1 milione di dollari - vuol dire che dovrà rendere almeno altrettanto. Si tratta quindi di imprenditori che non delegano ai politici le mediazioni fra i loro contrastanti interessi, ma li gestiscono direttamente, come è avvenuto nella prima fase di sviluppo capitalistico anche in Italia o negli Usa (basta ricordare i robber barons).

L’ascesa e il declino di Pavlo Lazarenko (oggi detenuto in un carcere Usa, ex governatore di Dnepropetrovsk, fino al ’96 ministro dell’Energia, premier fra il ’96 e il ’97) si consuma all’insegna dello scontro sul controllo della distribuzione del gas naturale, monopolio di Stato gestito da Ukrgazprom fino al ’95. Lazarenko la spezza in otto aziende, ognuna monopolista nella propria regione; tuttavia in breve una di queste, l’UES di Yulia Timoshenkho, che agisce in pieno accordo con Lazarenko, giunge a controllare un terzo del gas distribuito in Ucraina, probabilmente per le strette connessioni con Gazprom, a danno di società di altre regioni come l’Intergaz di Donetsk. Nel corso del ’96 attentati e omicidi segnano il ridimensionamento dei vecchi boss di Donetsk, ma anche di molti “direttori rossi” vicini a Kuchma. Questi risponde scatenando uno scandalo fiscale (denunciando che UES non paga le tasse – come non vedere l’analogia con l’attuale vicenda della Yukos?) e obbliga Lazarenko a dimettersi da primo ministro. Altra analogia col presente, prima della sconfitta i boss di Intergaz mobilitano i minatori (i cui salari sono in arretrato da mesi). Kuchma nel ’98 ricentralizza il settore gas creando Neftehaz Ukrainy (che comprende le aziende di produzione – Ukrgazdobycha - e di trasporto - Ukrtransgaz) guidata da un suo uomo, che è intermediario unico con i fornitori russi. Per sconfiggere Lazarenko, Kuchma è costretto ad allearsi con il clan di Kiev (Hryhory Surkis e Medvedchuk) e con i nuovi capi del clan di Donetsk. Intermediario imprescindibile dell’operazione è suo genero Victor Pinchuk, ebreo di Kiev, boss dell’Interpipe Holding (acciaierie e tubature per oleodotti), con forti legami d’affari con la Germania, ma anche con Soros. UES ovviamente viene disfatta (come oggi Yukos) ma Yulia Timoshenkho sfugge alle inchieste per corruzione e riprende da deputata la lotta contro il nuovo gruppo di potere (da lei accusato di corruzione!) e contro Kuchma, sospettato di essere il mandante dell’assassinio del giornalista Gyorgy Gongadze.
La rovina, già citata, della vecchia guardia del clan di Donetsk favorisce l’emergere a metà degli anni ’90 di una nuova generazione più agguerrita, i cui più potenti esponenti sono Rinat Akhmetov e Serhy Tarata, rispettivamente a capo di grandi conglomerate (la System Capital Management e la Industrial Union del Donbass) che combinano forza industriale e forza finanziaria. Questi magnati della siderurgia hanno costruito i loro imperi su un modello di integrazione verticale che implica l’acquisizione progressiva delle acciaierie, delle società di produzione del coke e delle miniere di carbone, delle aziende produttrici di macchine utensili per miniere: controllano cioè tutte le fasi del processo. Alleati fra loro, estendono il teatro delle acquisizioni alle regioni di Dnepropetrovsk e Lughansk, ma anche all’Ungheria e alla Polonia. Analogamente si è espanso nel frattempo Victor Pinchuk, clan di Kiev. Questi gruppi pesano politicamente perché ancor oggi il 40% dell’export ucraino è rappresentato dall’acciaio; ma la catena “carbone-coke-metallo” è competitiva grazie al fatto che lo Stato ha tenuto artificialmente basso il prezzo del carbone e non ha imposto per anni agli industriali siderurgici di pagare l’elettricità. Le miniere di carbone, d’altronde, di per sé antieconomiche perché obsolete e a basso investimento tecnico (un minatore ucraino produce 100 tonnellate di carbone all’anno, contro i 200 del minatore russo e i 400 di quello polacco), a causa di questa politica dei prezzi hanno continuamente assorbito sussidi dallo Stato.
In coincidenza con la creazione di Neftehaz Ukrainy, alle elezioni del ’98 vinse un blocco politico (Comunisti, Partito socialista e Partito agrario) che rispecchia il prevalere del Donbass e dei settori siderurgici, allora tendenzialmente protezionisti. Ma la crisi russa del ’98, che ha inciso pesantemente anche sull’export ucraino e la disastrosa situazione dei conti dello Stato convinsero Kuchma ad affidare il governo nel dicembre ’99 al liberista Yushchenko affinché creasse un ambiente favorevole agli investimenti esteri e riducesse il deficit statale.
Nel ’99 l’Ucraina si trovò anche sotto attacco da parte della Russia, che impugnando i propri crediti nei confronti degli ucraini e accusandoli di rubare il gas dalle condotte, bloccò le forniture di gas e petrolio, ma anche quelle di energia elettrica. L’arma energetica è utilizzata dai russi per tentare di impossessarsi di imprese (acquisiscono ad esempio tre raffinerie sulle sei esistenti, viene invece bloccata da una campagna di stampa la loro penetrazione nel settore delle centrali elettriche nel 2003).
Yushchenko chiamò al ministero dell’Energia Yulia Timoshenkho che impose alle industrie e ai consumatori un pagamento veloce e puntuale dell’energia elettrica (di cui in precedenza era pagato solo un 20%). Ma gli oligarchi della siderurgia si organizzarono e nel maggio 2001 Yushchenko dovette dimettersi. Per essere ancor meglio garantiti i vincitori puntarono ad affiancare alla catena “carbone-coke-metallo” il controllo delle centrali elettriche. Rinat Akhematov creò il Donetsk Financial and Industrial Group, attivo in Ucraina ma anche in Kazakhistan e Russia, che ha partecipato alle privatizzazioni delle centrali elettriche di Stato e tiene artificialmente basso il prezzo dell’elettricità.
Contemporaneamente, nel clima di scontro con la Russia, maturò la decisione del governo ucraino di affrancarsi dall’eccessiva dipendenza dai russi e di diventare via di transito del petrolio del Kazakhistan e Azerbaijan, attraverso un nuovo oleodotto che collegava Odessa a Brody (sul confine con la Polonia) e all’Europa occidentale attraverso Polonia, Slovacchia e Cekia. Per l’Ucraina passa il 20% del petrolio e il 44% del gas importati dall’Europa. Il governo tedesco e Ruhrgas si offrirono di entrare nel consorzio di costruzione dell’oleodotto, ma anche l’americana Kellogg Brown (gruppo Halliburton).
I russi sono corsi ai ripari, sia ipotizzando nuove condotte che rendano meno vitale l’Ucraina e passino attraverso la Bielorussia e la Polonia, sia valorizzando la collaborazione con l’Iran. Ma soprattutto ottengono nel 2002 da Kuchma, grazie ad accordi fra la russa Transneft e l’ucraina Ukrtransnafta, di far funzionare al contrario l’oleodotto Odessa-Brody per trasportare petrolio russo al Mar Nero.

Gli oligarchi inoltre si garantiscono il controllo di mass media (radio, televisioni, giornali ecc.) e di sindacati, hanno un esercito privato, praticano sia l'uso spregiudicato della magistratura sia mezzi oggi per lo più obsoleti nel moderno capitalismo come incidenti stradali provocati, omicidi. Durante le recenti elezioni come nelle migliori spy story oltre all'- avvelenamento di Yushchenko abbiamo visto l'ondata di leader appartenenti ai clan sconfitti (Yuri Liakh, presidente di UkrCredit, Georgy Kirpa ministro dei Trasporti e altri) "suicidati" per consentire un veloce riposizionamento dei clan stessi sul carro del vincitore. Anche i servizi segreti sono divisi in correnti fedeli ciascuna ad un clan (ma ciò è nella norma).
I rapporti fra i clan e fra componenti dei clan sono molto fluidi: si scontrano e si alleano (ad esempio attraverso matrimoni) e si spaccano al proprio interno. Così il clan di Dnepropetrovsk, che dal '94 è saldamente in mano a Kuchma, essendo il più importante, conosce numerose rotture interne e quelli che sono avversari accaniti di Kuchma, Yushchenko e Yulia Timoshenkho (la "pasionaria" delle manifestazioni di dicembre, oggi primo ministro) hanno iniziato la loro carriera politica alla sua ombra. E molti sostenitori dello sconfitto Yanukovych, appena prima o subito dopo il voto di dicembre, hanno iniziato le manovre di avvicinamento a Yushchenko (così hanno fatto Andrey Kinakh, lo stesso genero di Kuchma, Pinchuk e Medvedchuk, entrambi esponenti del clan di Kiev). Tutti i clan, infine, stanno cercando di superare la dimensione regionale, di estendere la propria influenza o le proprie alleanze su base pluri-regionale e di rappresentare interessi plurisettoriali.

I clan dominanti e i nodi degli scontri negli anni '90

All'interno dell'Urss l'Ucraina non era un'area marginale, né economicamente né politicamente, ma una delle regioni chiave negli equilibri di potere, tanto da aver espresso premier quali Krushchev, nativo di Donetsk (1954-64) e Leonid Breznev, espressione della "mafia di Dnepropetrovsk" (1970-1982).
Nell'Ucraina indipendente prevale il clan di Dnepropetrovsk; esso impone come presidente Kuchma, che proviene dall'industria missilistica ed è sostenuto dal complesso militarindustriale, committente vitale per la siderurgia. Dnepropetrovsk si scontra e trova vari livelli di mediazione con il potente clan di Donetsk (bacino del Donbass), ponendo in secondo piano gli altri. E' l'Est a dominare.
I nodi dello scontro fra le frazioni borghesi ucraine si ricollegano al peso dei settori siderurgico e dell'industria militare da un lato e all'importanza che riveste il settore energia. Il capitalismo di Stato ucraino lascia nel '92 in eredità un'industria energivora e solo parzialmente competitiva sul mercato internazionale; un nodo dello scontro sono quindi i tempi e il dosaggio della ristrutturazione; l'altro il controllo della distribuzione e del prezzo dell'energia, che si tratti di petrolio, gas, elettricità o carbone. Il settore dell'energia è uno di quelli su cui pesa di più la politica, come dimostrano le vicende esposte nel riquadro.
L'Ucraina lucra royalties da oleodotti e gasdotti che passano sul suo territorio ed importa principalmente dalla Russia, che può usare gas e petrolio come strumento di pressione per entrare nel mercato ucraino, per garantirsi l'utilizzo privilegiato del porto di Odessa e per indurre i gruppi ucraini a integrarsi nel proprio "Spazio economico comune". Perciò ogni gruppo economico ucraino dovrà collocarsi anche sulle linee di politica internazionale: svincolarsi dal condizionamento russo o conservare l'originaria integrazione con i gruppi russi? Puntare ad attirare capitali occidentali o svilupparsi all'ombra di misure fortemente protezioniste?
Kuchma ha rappresentato l'oscillante ago della bilancia che di volta in volta ha espresso gli equilibri del momento.

Un paese diviso

Il neo-presidente Yushchenko ha presentato un programma di maggiore integrazione con l'Europa e con la Nato, di apertura agli investimenti stranieri, mentre lo sconfitto Yanukovych prometteva che avrebbe sostenuto una linea più protezionista, mantenuto i sussidi ai settori minerari, intensificato l'integrazione nello "Spazio economico comune" stipulato nell'ottobre 2003 dalla Russia con Ucraina, Bielorussia e Kazakhistan. La vittoria di Yushchenko con il 51,99% dei voti contro il 44,19% di Yanukovych non può cancellare il fatto che i due hanno ottenuto forti maggioranze l'uno nel Centro e nell'Ovest del paese, l'altro a Sud e ad Est, specchio di un paese spaccato in due secondo una linea di faglia che ha ragioni storiche oltre che economiche (la Galizia ex asburgica ed ex polacca con Leopoli, Ternopol, Ivano Frankovsk, Vynnitsa, contro Odessa, Donetsk, Kharkov, Chernihov, Dnepropetrovsk dove prevale la popolazione russofona).

Nell'immediato il nuovo presidente dovrà fare i conti col fatto che le regioni dell'Est producono il 50% del PIL ucraino, che il recente boom economico è trainato dalle esportazioni verso India, Cina e Russia e che il 17% dell'export è legato al settore minerario e il 40% al settore metallurgico - segnatamente l'acciaio - settori forti nell'Est del paese.
D'altro canto la favorevole congiuntura internazionale può aver pesato nell'indurre una quota significativa di borghesia ucraina ad accettare la sfida liberista di Yushchenko. La rivolta contro Yanukovych ha avuto il suo centro a Kiev, non solo in quanto capitale politica, ma anche come città assai proiettata sul commercio con l'estero. La ripresa di questi ultimi anni è trainata dall'export, in cui risultano assai dinamici settori meno sostenuti dagli aiuti di stato come l' agroalimentare, i fertilizzanti, l'industria manifatturiera in genere. Fra gli oligarchi che appoggiano Yushchenko troviamo Petro Poroshenko (auto, agroalimentare ecc.). Anche una parte degli oligarchi legati alla chimica, alla elettromeccanica e al settore dell'energia ritiene di poter fare più profitti aprendo ai capitali esteri, occidentali ma anche russi. In discussione può esserci il dosaggio o la velocità delle ristrutturazioni, l'entità dell'apertura liberista.
Per affrontare la sfida del mercato internazionale miniere, siderurgia, l'industria militare e l'industria degli idrocarburi hanno bisogno di investimenti e tecnologie stranieri. L'Ucraina finora ha attratto pochi investimenti diretti esteri (nel gennaio 2004 lo stock era di 6,7 miliardi di dollari contro i 28 miliardi di dollari dell'Ungheria che ha un quinto della popolazione rispetto all'Ucraina), anche perché nelle scelte di governo ha prevalso la preoccupazione di non perdere il controllo delle imprese nazionali.
Un esempio classico è la vendita della Kryvorizhstal, un'acciaieria, la cui asta è stata vinta da un consorzio formato da Victor Pinchuk e Rinat Akhmetov, pur avendo questi offerto meno delle due concorrenti straniere, il consorzio angloamericano UNM-US Steel e la russa Severstal (che ha finanziato Yushchenko, come ha fatto Boris Berezovsky, l'oligarca russo in esilio). Non a caso il nuovo governo ha subito avviato una procedura per rivedere l'assegnazione della Kryvorizhstal, che da sola produce il 20% dell'acciaio ucraino.
Agli investitori stranieri, d'altronde, non basta offrire salari 6 volte inferiori a quelli polacchi, occorre garantire un "ambiente" meno burocratizzato (18 documenti e 60 firme necessari per aprire una filiale), dove essere concorrenti non significhi il rischio di essere assassinati e dove sia garantita la certezza del diritto borghese (è questa la "democrazia" che interessa al capitale straniero: che non ci siano espropriazioni forzate, che i prestiti siano puntualmente ripagati e i profitti possano essere rimpatriati).
Entrambi gli schieramenti hanno utilizzato la minaccia secessionista nel caso di vittoria del fronte opposto, minaccia che ha precise ragioni storiche. Fin dall'indipendenza, ottenuta nell'agosto del '91 nel caos seguito in Russia al tentato colpo di Stato contro Gorbaciov, l'Ucraina ha corso il rischio di spaccarsi, come è avvenuto alla Cecoslovacchia o ben più sanguinosamente alla Yugoslavia.
Da un lato agiva l'attrazione del magnete europeo, dall'altro i mille legami con l'ex impero russo.
Un eccessivo avvicinamento all'Europa avrebbe provocato la secessione delle regioni orientali, uno spostamento a Oriente avrebbe determinato il distacco della Galizia e delle regioni dell'Ovest. Questo pericolo ha portato Kuchma (presidente dal luglio '94 al dicembre 2004), che pur aveva mostrato di gradire un avvicinamento a Europa e Usa, a tenere una politica di equidistanza (e basterebbe l'invio di soldati ucraini in Irak a smentire la tesi dell'appiattimento di Kuchma su una linea filorussa). Non diversamente Yushchenko chiede una maggiore integrazione con l'Unione Europea, ma compie il primo viaggio da capo di stato a Mosca, cui garantisce la conservazione di un legame privilegiato.
Soprattutto finora non è stato interesse né dell'imperialismo americano né degli imperialismi europei di scatenare le forze centrifughe.
I governi europei, e in particolare quello tedesco, non hanno raccolto le avances ucraine, essendo per essi assai più importante il buon rapporto economico e diplomatico con la Russia, per la quale la perdita dell'Ucraina sarebbe
di gran lunga la più grave rispetto a tutti gli altri "pezzi" di impero, non solo per la dimensione demografica, ma anche per il peso dei legami economici e militari, oltre che per l'importanza strategica del paese, dovuta alla sua collocazione geografica. Anche oggi, da parte europea, e in particolare da parte dell'asse francotedesco, esiste l'interesse a salvaguardare l'asse energetico con la Russia (la Germania già importa da Mosca un terzo del petrolio e del gas naturale necessari a coprire il proprio fabbisogno). È' questo asse che consente una minore dipendenza dal petrolio mediorientale e quindi una posizione indipendente da quella Usa rispetto alla guerra in Irak. Alcune fra le più importanti società tedesche (Allianz, Siemens e Dresdner Bank) sosterrebbero il tentativo di Ga-zprom di acquisire il controllo del settore del gas russo (con l'acquisizione di Yukos, Rosneft, Sibneft, Surgutneftgas). La tedesca Eon tramite Ruhrgas possiede il 6,4% di Ga-zprom (con cui condivide il progetto dell'oleodotto del Baltico) e Putin sta offrendo ai gruppi energetici tedeschi una posizione rilevante nell'estrazione del petrolio russo.
Così la Russia ha conservato il controllo del porto di Sebastopoli, buona parte della flotta del Mar Nero e dell'arsenale nucleare grazie all'accordo del '97 fra Yeltsin e Kuchma, disapprovato dagli Usa ma non dai paesi europei. Durante le recenti elezioni Putin, dopo aver tentato di impedire la revisione del risultato del 21 novembre (ha riconosciuto come presidente eletto Yanukovych e diffidato gli altri paesi dall'intromettersi), si è velocemente adattato all'evolversi della situazione dichiarandosi pronto a trattare "con chiunque sia eletto" purché non abbia in mente di "isolare la Russia". Quando Putin dice di essere favorevole a un'integrazione dell'Ucraina in Europa propone in Ucraina un condominio, un'- area in cui si possano elaborare alleanze, economiche e politiche. Anche il governo italiano troverebbe in questo asse opzioni per sé favorevoli dal momento che punta al completamento del "corridoio 5" (Lisbona- Kiev), che dovrebbe passare per il Nord Italia, da Torino a Trieste, tagliando fuori la Germania.
Nello scontro interimperialista multipolare in corso nella più ampia area del proprio ex impero, la Russia annovera la perdita di controllo sulla Georgia (dove Shevardnadze ha dovuto cedere il passo a Mikhail Saakashvili in una vicenda elettorale analoga a quella ucraina, ma con un più evidente intervento della fondazione tedesca Friedrich-Ebert), che ha riacceso la contesa per il controllo di Ossezia del sud e Abkhazia.. Correnti Usa prospettano l'ipotesi che, se la Georgia riacquistasse il controllo delle due province ribelli, un Caucaso meridionale, stabilmente inserito nella Nato e libero da condizionamenti russi, costituirebbe un "corridoio per l'energia del Caspio" di valore incalcolabile per tutte le operazioni Usa in Medio Oriente e in Asia Centrale.
L'Ucraina sarebbe il tassello di completamento di questo corridoio. Se si aggiunge che oggi l'imperialismo Usa è presente militarmente in numerosi paesi dell'Est europeo o in veste Nato o direttamente, ma si è anche insediato in Afghanistan e nelle ex repubbliche sovietiche in Asia Centrale, cioè Uzbekistan, Tajikistan, Kirghizistan, risulta del tutto logico che per la Russia sia vitale cercare di sfuggire all'accerchiamento. Da un lato Putin offre un cointeressamento nell'industria petrolifera a Germania e a Cina, rafforza le collaborazioni con Iran e India, dall'altro tenta di rinnovare la collaborazione russo- ucraina nell'industria militare, dagli aerei da trasporto Antonov ai lanciatori Vega cui si è interessata anche l'ASA, l'Agenzia spaziale europea. Non senza forti contraddizioni interne: alcuni gruppi russi temono la concorrenza ucraina nell'export militare verso paesi come l'India, l'Iran, la Libia, la Siria e nazioni africane. Ma una eventuale integrazione fra industria militare tedesca e polo russo-ucraino avrebbe ben altro peso e possibilità di affermarsi.

Una posizione di classe

Molta stampa di sinistra "tifa" apertamente per un intervento europeo che contrasti un 'incremento di influenza Usa in Ucraina, dimenticando che la "democratica" Europa ha tranquillamente ignorato i massacri in Cecenia se si trattava di stipulare contratti con Putin. Altri, carichi di nostalgie per il modello staliniano del capitalismo di Stato, denunciano il rischio che una "borghesia compradora" ucraina svenda i gioielli di famiglia all'imperialismo Usa, ignorando che questo modello, costruito sul più grande massacro di internazionalisti della storia, ha esercitato una delle più odiose repressioni sulla classe, e ha fallito nel confronto coi modelli liberisti, implodendo alla fine degli anni '80 e lasciando uno strascico di miseria.
Se per gli imperialisti italiani ed europei in genere l'Ucraina può essere intesa come un ponte su cui viaggiano merci, capitali e profitti, per i marxisti deve essere un ponte fra i lavoratori dell'Est e dell'Ovest.
Se per decenni i lavoratori occidentali sono stati illusi che il capitalismo di Stato di marca sovietica fosse il migliore dei mondi possibili (e rispetto a questo invece i lavoratori dell'Est sono robustamente vaccinati) oggi la borghesia ucraina e occidentale vuole continuare ad opprimere i lavoratori ucraini alimentando il mito della democrazia e del mercato come garanzia di benessere. Espropriati della propria storia come classe, essi vengono depistati dalla falsa alternativa democrazia occidentale/ dispotismo russo che copre il feroce scontro di interessi interno e internazionale. Rapidamente verificheranno l'inconsistenza delle promesse di oggi. E il potenziale di lotta e di mobilitazione espresso in questi mesi potrà essere messo al servizio dei propri interessi di classe.






A.M.

Pubblicato su: 2005-06-18 (2096 letture)

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