Un nostro compagno ex macchinista delle Ferrovie, da poco pensionato, ci ha inviato questo scritto sulla sua decennale esperienza come Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza.
In genere cerco di non parlare di me stesso, se è vero, come è vero, che l’individuo non è nulla, l’esperienza del singolo vale se è collettiva. Ma oltre dieci anni di intensa attività come Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) hanno rappresentato un percorso molto costruttivo e ricco di insegnamenti, ed eccomi qua a scrivere.
Sono stato eletto RLS alla fine del 2004. Alle elezioni d’impianto (circa 400 macchinisti) raccogliemmo le firme e presentammo una lista di base, alternativa ai sindacati “ufficiali”, col simbolo della CUB. Partivamo da zero, un’esperienza tutta da costruire. In cui nulla era scontato
Avevamo alle spalle decenni di lotte e vertenze legate alla sicurezza, dall’amianto sui locomotori al miglioramento del segnalamento e dei sistemi di distanziamento dei treni, fino alla radiazione dei locomotori obsoleti. I lavoratori ci diedero fiducia. Il voto, trasversale, fu un plebiscito per noi; un mandato inequivocabile. Da sempre i concertativi non davano eccessiva importanza al ruolo di RLS, considerato un ruolo di secondo piano rispetto a quello del delegato RSU; spesso venivano eletti rappresentanti che poi vi dedicavano scarso o nullo impegno e, peggio, completamente allineati con i piani dei concertativi e dunque dell’azienda.
Per me invece era una scelta importante. All’epoca io ero macchinista per Trenitalia, ovvero il settore trasporto della Holding FS. La liberalizzazione partita negli anni ’90 aveva posto non il servizio ma il profitto al vertice delle ambizioni delle imprese. Sempre grazie alla liberalizzazione, le imprese si moltiplicarono, creando dumping salariale e concorrenza tra lavoratori. Un macabro dato ci ha accompagnati nel tempo, resistendo a tutti i cambiamenti: mentre nell’Italia pre-Covid la speranza di vita cresceva di anno in anno, quella dei macchinisti era molto più bassa, stabile a 64,5. Un dato confermato a tutt’oggi.
Non fare sconti sulla sicurezza
Impostammo il lavoro con un fitto calendario. L’impegno e lo studio di leggi e decreti specifici, dalla 626 (poi L. 81), alla 191 sulle intervie (larghezza minima dei sentieri, distanza dai binari) portarono ben presto a varie segnalazioni sulle situazioni potenzialmente rischiose: attraversamenti binari, illuminazione, sentieri sconnessi, Dispositivi di Protezione Individuale mancanti (i DPI, ovvero guanti, mascherine, giubbotti antinfortunistici, ecc.), situazioni di potenziale pericolo… Spesso l’azienda non rispondeva ai solleciti, e allora veniva chiesto l’intervento degli organi di Vigilanza. Proprio in una di queste occasioni fu chiaro che il RLS autonomo ed impegnato avrebbe rappresentato un serio problema. Per chi? La risposta ce la diede un tecnico dell’ASL che venne a visionare degli attraversamenti di binari nei piazzali dove si prelevavano i locomotori. “Certo che voi RLS che svolgete il vostro ruolo siete un bel problema!”. Io, ingenuamente replicai: “per l’azienda?”. “No, no, per i sindacati, quelli “riconosciuti”. Loro siedono al tavolo, trattano, concertano, voi fate applicare le norme senza sconti, e mettete così in risalto il loro trattare al ribasso”. Ebbi così la conferma che occorreva intensificare l’attività mirata sulla sicurezza per raggiungere risultati altrimenti impensabili con la pratica concertativa e clientelare tipica di un certo modo consolidato di operare sindacalmente. Le difficoltà non mancavano. Avevo a disposizione solo 40 ore all’anno di permessi, il resto dovevo impostarlo tutto nel tempo libero sottratto al riposo e al sonno (spesso dopo una notte di lavoro); le agibilità sindacali non le avevo in quanto, come detto, appartenente ad un sindacato che non firmava gli accordi, dunque non riconosciuto.
Il disastro di Crevalcore
Dopo poche settimane ci trovammo di fronte al drammatico disastro di Crevalcore, in cui un treno regionale, che non aveva rispettato un segnale a via impedita, si schiantò nella nebbia contro un merci provocando la morte di 17 persone tra cui tre macchinisti. Vi furono assemblee, il 12 gennaio formammo un coordinamento e, come RLS, indicemmo due scioperi sulla sicurezza con altissime adesioni ed una marcia per le vie di Roma il 25 febbraio. La riuscita delle iniziative dimostrò il livello molto alto di coinvolgimento dei lavoratori. Questa spinta di base ci permise di mettere sul tavolo la questione del cosiddetto Uomo morto.
L’ Uomo morto
Fu così che, dopo le intervie e la sistemazione di sentieri e attraversamenti binari, mi trovai ad affrontare un tema non nuovo, ovvero la vigilanza durante la guida. L’azienda aveva commissionato ad un valido specialista uno studio con test psico-fisici per valutare i tempi di reazione e la risposta ormonale in diverse condizioni e fasce orarie; non si trattava di un’iniziativa filantropica, il tutto era finalizzato all’introduzione del famigerato “Vigilante” (o “Vacma”, dall’acronimo francese), che noi continuavamo a chiamare col suo vero nome, “Uomo Morto”, quello datogli dal fascismo, nel 1938. Un dispositivo invasivo, che obbliga il macchinista in un intervallo ad eseguire, ogni 55’’, un’operazione per dimostrare che è presente. L’attrezzaggio dei locomotori col vigilante era finalizzato a ridurre gli equipaggi in macchina da due ad un solo macchinista. Lo studio dimostrò di fatto quello che gli RLS sostenevano da sempre, ovvero che l’Uomo Morto non rappresentava affatto uno strumento di “vigilanza” bensì solo di “presenza”, che era fonte di distrazione perché obbligava il macchinista ripetutamente a distogliere l’attenzione dalla guida e aggiungevamo che era pure dannoso per la salute del macchinista (a Crevalcore il treno che non rispettò il segnale rosso era attrezzato con l’Uomo Morto).
Quando l’impresa cominciò l’attrezzaggio dei locomotori con l’Uomo Morto, come RLS inviammo le diffide e facemmo partire gli esposti. Poi per primi ci rifiutammo di utilizzarlo. Chiedevamo la sostituzione dei locomotori, dopo un braccio di ferro e ritardi accumulati sostituivano noi mettendoci a terra o su treni non attrezzati. Uno di noi, Dante de Angelis di Roma, venne licenziato. Dagli organi di vigilanza (le ASL in questo caso) arrivarono gli ispettori che sanzionarono l’impresa con undici prescrizioni, tenemmo duro fino alla fine e la vincemmo: il dispositivo Uomo Morto venne reso escludibile, dunque si poteva non inserirlo. Guadagnammo qualche anno di… doppio macchinista.
La lotta quotidiana
Nel frattempo le vertenze sulle altre questioni non si fermavano. Facemmo chiudere un dormitorio sprovvisto delle condizioni che permettessero un adeguato riposo tra un turno e l’altro, continuando a chiedere sentieri e sottopassaggi a norma e illuminati, sale di sosta e scali puliti; ottenemmo tutto, perché alle richieste seguivano iniziative di autotutela: i lavoratori si rifiutavano di sottoporsi a rischi di potenziali pericoli perché il loro RLS aveva dato loro indicazione di non farlo. Le minacce e le sanzioni ottenevano l’effetto contrario. Quando le situazioni non si sbloccavano veniva richiesto l’intervento dell’Organo di Vigilanza (quasi sempre ASL, tranne nei casi di eccesso di lavoro straordinario, di cui si occupava la Direzione Provinciale del Lavoro), e i provvedimenti arrivavano. Questo lavoro seguiva il solco della tradizione di lotta della categoria dei ferrovieri, e dei macchinisti in particolare; spesso diventavamo promotori di iniziative sul tema della sicurezza che coinvolgevano fabbriche e altre realtà esterne.
Per i transiti nel tunnel del Frejus, dove ristagnavano fumi dovuti a lavori di allargamento della volta, ci diedero le mascherine FFP3 dotate di filtro, che conservammo con cura. Non sapevanmo che avremmo imparato poi ad apprezzarle in tempi più recenti, per ben altri motivi legati alla pandemia.
All’inizio del 2008 come gruppo nazionale trasversali alle varie sigle sindacali, temprato dalle vertenze comuni e ormai affiatato, demmo l’indicazione di ridurre di 40 km/h la velocità massima degli elettrotreni ad inclinazione ETR 460- 480-485 e ETR 470, a seguito di cinque episodi gravi che riguardavano l’albero di trasmissione, con surriscalda-mento e rotture meccaniche verificatesi ad elevate velocità. Avvisammo Ministero, azienda e Procure della Repubblica. Alla fine ottenemmo un’importante modifica agli allarmi notificati in cabina, ovvero un anomalo surriscaldamento del “giunto” sarebbe stato prontamente rilevato dal macchinista.
Le riunioni periodiche, le controdeduzioni del RLS al Documento di Valutazione dei Rischi, i sentieri da sistemare, il microclima, gli estintori, l’eliminazione di fonti di inquinamento luminoso esterno… non c’era mai tregua.
La stangata del 2009
La stangata arrivò nel maggio 2009: cinque dei sei sindacati “ufficiali” firmarono l’accordo che permetteva all’impresa, di giorno e su treni passeggeri e regionali, di passare al macchinista solo. Seguirono esposti, diffide, denunce, scioperi (precettati), ma non bastarono. Quasi duecento macchinisti in Italia vennero sanzionati con numerosi giorni di sospensione dal servizio per essersi rifiutati di viaggiare da soli. L’unico sindacato “ufficiale” che allora non firmò, l’ORSA, patrocinò le loro difese per una vertenza che durò anni e si trascinò nei vari gradi di giudizio fino in Cassazione. Poi anche l’ORSA si accodò e… firmò. La mancata firma di accordi, a lungo termine, farebbe sì che quell’organizzazione venga posta fuori dai tavoli ma soprattutto perderebbe le agibilità (le sedi collocate in ambito ferroviario, le bacheche…). Noi come Sindacati di Base continuammo l’opposizione ma con rapporti di forza ormai definitivamente compromessi, troppo grande il divario tra i sindacati concertativi e quelli di base, in una situazione che, peraltro adeguatamente monetizzata, stava ormai consolidandosi. Sprofondammo negli anni più bui, mentre la liberalizzazione avanzava impietosa, dopo il trasporto merci investì anche quello passeggeri, senza regole, in Italia come in Europa. Noi RLS continuammo a fare argine come potevamo, ma fu chiaro ormai che niente era più come prima. Avevano sfondato sul modulo di equipaggio (Agente Solo). Come RLS continuai ad affrontare problematiche vecchie e nuove (non ultima quella dello stress-lavoro-correlato, SLC, fattore di rischio introdotto nel documento di valutazione e da quantificare per le varie realtà).
Chiarii di fronte ai rappresentanti aziendali che mai, per nessun motivo avrei partecipato a incontri e trattative assieme a sindacati che consideravo – e considero – dei nemici.
Il mio mandato andava verso la conclusione.
La strage di Viareggio e il ruolo della Cassazione
Fui uno degli RLS che si costituirono parte civile al processo per la strage di Viareggio. La nostra azione non era simbolica e limitata alla costituzione al processo, ma abbiamo collaborato, per quanto potevamo, coi rappresentanti legali dei familiari delle vittime per fornire un supporto tecnico alle tesi. In particolare, portammo a conoscenza di un elemento temporale particolarmente significativo quanto cinico. Poche settimane prima del disastro, l’European Railway Association (l’agenzia ferroviaria del vecchio continente) aveva inviato alla Commissione Europea una “raccomandazione” per non dotare i carri di merci pericolose dei rilevatori di deragliamento, giudicati troppo onerosi a fronte di un numero basso di vittime. La Corte di Cassazione, come noto, ha ritenuto non applicabile il Testo unico sulla sicurezza del lavoro e le relative aggravanti dichiarando conseguentemente prescritto l'omicidio colposo, pur condannando in via definitiva alcuni degli imputati per il reato di disastro ferroviario, rimandando ad un appello bis altri e prosciolto tutte le imprese. Io fui tra i sei cui vennero addebitate dalla Cassazione le ingenti spese legali, che ci fu possibile pagare grazie ad un’eccezionale e commovente mobilitazione nazionale che ha visto venirci incontro singoli, comitati, gruppi, associazioni.
L’accordo sulla rappresentanza
Si avvicinava il rinnovo delle cariche sindacali. Per i concertativi occorreva eliminare il pericolo di avere RLS fuori controllo. Nacque così il vergognoso accordo sulla rappresentanza, che escludeva dalla competizione elettorale del rinnovo RSU-RLS le sigle che non avevano sottoscritto né quell’accordo né il CCNL. Quasi tutti noi che negli anni avevamo agito in autonomia, all’unisono indipendentemente dall’appartenenza a una sigla sindacale, eravamo fuori.
Ma la maggioranza riuscì a farsi eleggere, grazie al fatto che alcuni sindacati di base avevano sottoscritto l’accordo. Alcuni, e io fui tra questi, non accettarono il compromesso e, a malincuore, rimasero fuori. Nel mio impianto riuscimmo comunque a passare il testimone per continuare degnamente le nostre battaglie e impedire che il posto finisse a qualche allineato dei concertativi.
UN BILANCIO
Sono uscito da quell’esperienza arricchito. Non materialmente, perché in realtà ho accumulato punizioni, sollevamenti dal servizio, sospensioni, giorni a terra. Ma spiritualmente, umanamente, sindacalmente, politicamente, supportato da un gruppo straordinario.
Chiudo citando un episodio singolare. Un giorno avevamo la riunione per discutere di SLC. Io, al solito, non presi il permesso che mi spettava, mi feci il turno in una bella notte stellata sulla tratta Milano-Domodossola e ritorno. Mancavano cinque ore alla riunione, mi buttai su una panca riposando un poco, quindi mi recai al cimitero Musocco. Da tempo volevo andarci per cercare una tomba. Non sapevo se esistesse ancora. Invece esisteva e la trovai. Era quella di Teresa Galli, la camiciaia della Bovisa prima vittima dei fascisti, uccisa nel 1919 negli scontri tra socialisti e fascisti-futuristi e ricordata soprattutto dagli anarchici, che ne avevano ricostruito la breve vita (cfr. Pagine Marxiste n.31 settembre 2012). Fu in quel modo che si conobbe il suo volto.
Quel giorno, poi, non sentii stanchezza alcuna e partecipai alla riunione con rinnovata energia.
Non è facile concentrare dieci anni intensi di attività sulla sicurezza in un articolo. Ho tentato di descrivere un impegno incessante. Impegno che continua, per contrastare la logica del profitto e la liberalizzazione ferroviaria che corre sui binari, oggi più di ieri. ■
ALP