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N°50 Pagine Marxiste - Dicembre 2021
ALGERIA: LE MIRE DELL' IMPERIALISMO ITALIANO IN NORD AFRICA

Abbastanza snobbato dal chiacchiericcio dei media, c’è un intenso attivismo italiano sul fronte del Nord Africa. Anche la visita di Mattarella in Algeria, agli inizi di novembre, è stata derubricata a doverosa cronaca. Il significato della visita non sta tanto nel contenuto degli accordi1, ma nel fatto che Mattarella è il primo capo di stato europeo che visita il paese, dopo la fine della presidenza Bouteflika.2 Il suo viaggio è una sorta di riconoscimento del nuovo presidente Tebboune, che si pone, con qualche aggiustamento, in linea di continuità con il regime repressivo del passato. La visita quindi è un avallo ad affossare il movimento popolare Hirak. Anche questo in linea di continuità con la passata politica italiana.


Mattarella in più ribadisce l’importanza dell’Algeria in quanto primo partner commerciale dell’Italia nel Nord Africa e in Medio Oriente, fornitore del 20% del nostro fabbisogno annuale di gas.3 E interviene in un momento di forti tensioni interne ai paesi dell’area, scontri fra questi paesi e dell’Algeria con Francia ed Europa.


Crea, infine le basi per un dialogo con un paese, l’Algeria primo per importanza militare, avamposto di Russia e Cina nel Mediterraneo, confinante con il caos libico, con una tradizione di indipendenza dalle potenze regionali medio orientali che se ne contendono l’amicizia.


 



La controparte algerina

Dopo le imponenti manifestazioni popolari, note sotto il nome di Hirak, che hanno costretto il clan Bouteflika e l’esercito a rinunciare alla sua ricandidatura, il capo di stato maggiore, Ahmed Gaïd Salah, comprendendo che si doveva allargare agli strati della nuova borghesia imprenditoriale la platea dei “beneficiari” di un sistema di potere che arricchisce un ristretto strato lasciando nella miseria la stragrande maggioranza della popolazione, ha gestito la transizione. L’esercito ha del tutto ignorato le istanze dei manifestanti e ha tenuto a bada la piazza, con arresti e la carcerazione dei leader, ma evitando lo scontro frontale. Ha, quindi, proceduto all’arresto di alcuni esponenti del precedente governo particolarmente compromessi ma anche di quegli imprenditori che premevano per cambiamenti radicali. I partiti al governo cercano una nuova verginità di immagine, ma senza nessuna modifica di sostanza. Si è preso tempo, aiutato da quelle voci che dentro Hirak hanno sostenuto che le rivendicazioni di classe vadano messe in secondo piano in quanto ‘divisive’ rispetto al “movimento di massa”. Solo quando è stato sicuro di poter proporre un candidato che garantisse alcuni cambiamenti, senza mettere in discussione il tutto, l’esercito ha permesso lo svolgersi delle elezioni presidenziali. 

Tebboune, esponente del FNL (Fronte di liberazione nazionale), il partito che dal ’62 è sempre al governo, si presta a rappresentare il capitalismo algerino con le necessarie mediazioni. E’stato eletto presidente nel dicembre 2019, da una ristretta minoranza (a recarsi a votare è stato il 39,9% degli aventi diritto). ha mantenuto intatte tutte le prerogative presidenziali (controllo sulla magistratura, poter dimettere il primo ministro, porre il veto sulle misure di legge sgradite, nomina di un quarto dei membri del Senato, ecc.). Lo scoppio della pandemia di Covid gli ha fornito il pretesto per diradare le manifestazioni e limitare le proteste in presenza. Il movimento è rimasto vivo sui social, su cui è puntualmente intervenuta la polizia, chiudendo siti e minacciando sanzioni per diffusione di “false informazioni”.  La repressione quindi è continuata.  Come sono continuate le deportazioni di massa dei migranti provenienti dall’Africa subsahariana nel deserto nigerino: 23.175 individui nel solo 2020, mentre nel 2021, tra gennaio e aprile, sono stati respinti 4370 migranti – dopo averli arrestati e detenuti per giorni.  Contemporaneamente 12 mila algerini hanno lasciato clandestinamente Orano e Mostaganem, affrontando il mare in direzione della Spagna e delle Baleari e poi della Francia. Altri 8200 aspiranti emigrati sono stati bloccati dalle autorità algerine. Nessuno, però, in Europa attribuisce loro lo status di rifugiato politico, perché formalmente l’Algeria è “democratica”.

La pseudo democrazia algerina

Formalmente il regime ha cambiato pelle. Nel dicembre 2020 il 23% degli aventi diritto ha votato una nuova Costituzione. Tebbune, consultati i partiti, ha scelto come primo ministro un “tecnico”, Aymen Benabderrahmane, già ministro delle Finanze e governatore della Banca centrale. 

Le elezioni politiche sono state procrastinate e si sono poi tenute nel giugno 2021.  Dalle elezioni (cui ha partecipato meno di 1 avente diritto su 4) è uscito un ridimensionamento dei due partiti prima al potere, cioè il FNL e l’alleato RND (Rassemblement National Démocratique), e l’emergere di tre formazioni islamiche.4 Tebboune ha brigato per la formazione di un governo di unità nazionale, aprendo agli islamici. Nella Camera bassa il governo può contare su 320 seggi su 407; ha l’appoggio di 4 partiti, cioè il FNL, l’RNL e di due formazioni islamiche (Moustakbal e El Binaa) per un totale di 269 seggi e 77 deputati indipendenti, non essenziali per la maggioranza, ma la cui presenza può alimentare le illusioni di cambiamento e indebolire il movimento Hirak.

I contrasti con la Francia e l’Europa

Tebboune non ha mancato di presentarsi come il campione degli interessi algerini. Nel settembre 2020 sarebbe dovuto entrare completamente in vigore l’accordo di libero scambio fra Algeria e UE, varato nel 2005. Esso prevedeva 12 anni di transizione, poi aumentati a 15, per aprire il mercato algerino ai prodotti europei. Ma i produttori locali sono restii a togliere i dazi su acciaio, tessile, elettronica e veicoli. L’accordo è considerato iniquo dagli esportatori algerini, dal momento che, nel periodo 2005-17, la Ue aveva esportato in Algeria per 240 miliardi di € (semilavorati, manufatti, macchine utensili) e importato per 10 (per lo più gas). Tebboune, quindi, ha chiesto di rinegoziare l’accordo. Che non riguarda l’Italia importatore netto. Anzi è stato Conte a dover protestare col governo algerino che, incoraggiato dalla Turchia, all’inizio del ’20 ha ampliato unilateralmente la propria zona di pesca ai danni della Sardegna.

In più nell’autunno 2021, invece, le forniture di gas algerino all’Europa, attraverso il gasdotto che passa per il Marocco e arriva in Spagna si sono interrotte, a causa delle dispute fra i due paesi nordafricani. Data la coincidenza con le riduzioni dei flussi di gas dalla Russia, l’impatto sui prezzi del gas è stato pesante. L’Algeria fornisce circa il 12% di tutto il gas naturale consumato nella UE.  Inoltre, sommandosi con l’instabilità della Libia, il contrasto Marocco-Algeria preoccupa gli stati Europei, in particolare quelli mediterranei.

Anche i rapporti con la Francia, ex potenza coloniale sono tesi. Il 30 settembre, durante un incontro con gli ex combattenti francesi in Algeria, Macron fatto intendere con supponenza che il governo algerino vive di rendita grazie all’eredità della gestione francese. In più Macron ha insignito della legion d’onore gli “harki” cioè gli algerini “collaborazionisti” che combatterono dalla loro parte. Immediatamente Algeri ha richiamato l’ambasciatore algerino a Parigi, Mohamed Antar Daoud, e dichiarato la chiusura dello spazio aereo algerino agli aerei militari francesi. Inoltre da mesi Parigi accusa l’Algeria di cercare con ogni scusa di non accettare i respingimenti operati dalla Francia verso gli immigrati indesiderati. E come ritorsione la Francia ha ridotto del 50% i visti rilasciati per Algeria e Marocco.

Su questi aspetti l’Italia può giocare un ruolo di mediazione con i boss algerini. Quanto coerentemente con i disegni europei lo capiremo, una volta letto, dal testo del "Trattato per una cooperazione bilaterale rafforzata" firmato il 25 novembre da Macron e Draghi. Un trattato che, fra l’altro, prevede una politica comune nel Mediterraneo e in Africa, dando inizio a un inedito asse franco-italiano che si affianca a quello storico franco-tedesco.

L’Italia e i diritti umani

Mentre il Parlamento europeo ha, perlomeno formalmente, condannato la politica di arresti e detenzioni arbitrarie nei confronti di esponenti dell’opposizione algerina, l’Italia ha ostentato sull’argomento “il pieno rispetto della sovranità algerina”. Una posizione che caratterizza tutta la storia delle relazioni Italia- Algeria e che, ovviamente è stato ufficialmente apprezzato dal suo omologo algerino, durante la visita di Mattarella. Tebboune ha rievocato non solo l’appoggio italiano alla lotta di liberazione algerina e il ruolo di Mattei, ma “il rispetto” mostrato dal governo italiano durante il “decennio nero”, cioè quel periodo di scontro feroce fra governo e opposizione mussulmana, quella vera e propria guerra civile in cui morirono 200 mila algerini, la maggior parte dei quali civili innocenti o membri di minoranze massacrati dall’esercito.

In Algeria a Mattei è largamente riconosciuto un ruolo di finanziamento e sostegno politico al Fronte di Liberazione Nazionale durante gli anni della guerra di Algeria (1954-1962) e poi al Governo provvisorio della Repubblica algerina. L’indipendenza significava la fine del monopolio francese e significative possibilità di affari per l’Eni. E infatti, negli anni successivi, le scuole dell’Eni a San Donato Milanese ospitarono frotte di studenti algerini, futuri quadri e dirigenti dell’industria petroliera ed energetica.5

Per motivi analoghi, successivamente l’Italia è andata d’accordo sia con i generali del decennio nero (1992-2002), sia con Buteflikla (che Amnesty international ha bollato come repressore, ma l’ISPI ha definito “l’uomo della riconciliazione nazionale”). Nel frattempo si è inserita con disinvoltura nella rete di clientele e corruzione della Sonatrach, l’azienda di stato petrolifera algerina, dimostrandosi all’altezza del clima mafioso, vedi i processi all’Eni.6

Nel 2009 l’allora ministro degli Interni Maroni firmò col governo algerino un memorandum che consentiva all’Italia di riconsegnare i clandestini partiti da quel paese (ben sapendo quale sarebbe stata la loro sorte (incarcerati o postati nel deserto del Niger a morire).

Se qualcuno pensa che questa eredità possa costituire un problema per Mattarella, con la sua aria di padre di famiglia, dovrebbe ricordare il suo ruolo da ministro della difesa durante la guerra in Kosovo: ha negato fino all’ultimo l’uso dell’uranio arricchito, anche quando esponenti tedeschi o statunitensi lo ammettevano tranquillamente (salvo poi contare i morti di leucemia fra i soldati italiani e i civili serbi).

Quello che conta è che l’Algeria si è sempre posta come baluardo contro il “terrorismo” genere ISIS e tanto basta. Il primo accordo di cooperazione militare con l’Algeria è del 2005. Il giro d’affari italiano per la vendita di armi non è paragonabile a quello russo o tedesco, ma l’imperialismo italiano fa la sua parte (vendite per 172,7 milioni di dollari nel 2019, varie joint venture per produrre elicotteri, navi ecc.).

Se mai sia Mattarella che Draghi (che da ultimo ha partecipato con Di Maio al vertice di Parigi sulla Libia) sono esponenti della linea filo atlantica, quindi certamente attenti da un lato alla forte presenza cinese e russa in Algeria dall’altro all’intensificato interventismo di Turchia, Emirati, sauditi nel Mediterraneo, una delle direttrici storiche di espansione dell’imperialismo italiano.

Algeria avamposto di Cina e Russia

Nell’area Mediterranea l’Algeria spicca come un potenziale avamposto militare per Cina e Russia, le due potenze che la Francia di Sarkozy si illudeva di estromettere (assieme all’Italia) dalla Libia. E che dopo un decennio sono più che mai presenti in quello che gli Europei considerano il loro mare interno.

l’Algeria è il più importante partner della Russia nell’area del Medio Oriente e Nord Africa nel settore della difesa e della sicurezza e il terzo cliente assoluto dell’industria bellica russa. Tra il 2013 e il 2018, l’Algeria è stato il settimo paese al mondo per importazioni di armi, con quasi 7 miliardi di dollari investiti nella difesa. Di questi, ben 4,5 miliardi (il 65%) sono costituiti da vendite russe. Nel 2019 il budget militare ha raggiunto i 10,3 miliardi di $   L’ultimo capitolo di questi acquisti ha riguardato 14 Su-57 russi, che secondo alcuni “riscriverebbe la geografia del potere nell’intero Mediterraneo”.7 Assieme alla presenza dei mercenari della Wagner in Libia, i Su-57 possono diventare un asset negoziale sia per la Russia che per l’Algeria.  La partnership militare si estende alle esercitazioni congiunte: l’ultima nell’ottobre di quest’anno in Ossezia del Nord, cui ha partecipato anche l’Egitto (tema: la lotta al terrorismo), una delle tante tese ad irritare la Nato e i suoi alleati europei e caucasici.

L’Algeria è anche investita in pieno dall’attivismo economico e diplomatico cinese. Ci vivono chi dice 40 chi dice 100 mila fra lavoratori, tecnici e imprenditori cinesi.  Pechino è il maggiore investitore straniero, soprattutto nei settori delle costruzioni e delle infrastrutture, ruolo enfatizzato dall’adesione algerina alla “Via della Seta” il 4 settembre 2018. Sono i cinesi ad aver costruito ad Algeri il teatro dell’Opera, l’aeroporto, la grande moschea che vanta il minareto più alto del pianeta (col supporto dell’italiana Trevi). A Orano hanno costruito lo stadio. I cinesi hanno costruito anche 1.200 Km di autostrade, 13 mila di strade e 3 mila di ferrovie e hanno in cantiere il futuro porto di El Hamadania, 70 km a ovest di Algeri, che dovrebbe gareggiare con il porto marocchino di Tangeri Med (anch’esso un investimento cinese), per trasformare il paese in un hub per la penetrazione commerciale all’interno dell’Africa. La gestione del porto sarà una joint venture algerino-cinese. Algeria come l’Italia si potrebbe dire, viste le mire cinesi su Trieste, Ravenna e Taranto e forse anche su Palermo. Lo stock degli investimenti diretti cinesi in Algeria è valutato intorno ai 2,21 miliardi di $; essi si concentrano nel settore minerario, petrolifero e nella produzione del cemento. Dal 2013 Pechino è il primo esportatore in Algeria (macchinari industriali e armi), ma ha in progetto di moltiplicare l’import di gas e petrolio algerini.

I complessi rapporti con le potenze regionali medio orientali

Negli ultimi anni, fra gli investitori diretti esteri al terzo posto è comparsa la Turchia, dopo la Cina e la Spagna. Da almeno un ventennio anche l’Arabia Saudita investe in modo significativo. Ma i rapporti politici col mondo mussulmano sono più complessi. Turchia Qatar Tunisia e Algeria sono dalla stessa parte in Libia (hanno appoggiato sempre il governo di Tripoli). I sauditi e gli emiratini tifano Tobruk. Ma il Qatar è anche un temibile concorrente sulla strada per lo sviluppo del GNL, essendo interessato a restare il primo nel mondo. Per il Qatar la guerra in Libia ha tolto di mezzo un potenziale competitore, perché è nota la presenza in Libia di enormi giacimenti di gas non sfruttati. Per l’Algeria si stimano riserve per 4.500 miliardi di metri cubi di gas, ma il paese non è stato del tutto esplorato. Queste potenzialità per ora non sono sfruttate per mancanza di investitori. Ma lo potrebbero essere in futuro. Senza contare che l’Algeria ha caratteristiche climatiche e morfologiche uniche per potervi sviluppare energie rinnovabili (sia eolica che solare). La vicinanza geografica con l’Europa ne fa un potenziale competitor futuro per la Russia, ma anche per le petro-monarchie del Golfo. Forse questo spiega perché nessun paese arabo appoggia l’Algeria nella contesa col Marocco.

Il conflitto congelato fra Marocco e Algeria risale al 1994; la  ragione del contendere è l’appoggio militare che, secondo il Marocco, l’Algeria fornirebbe al Fronte Polisario e alle rivendicazioni indipendentiste dei Saharawi nella zona cuscinetto fra Marocco e Mauritania. Secondo il Marocco l’Algeria punta a “crearsi uno sbocco sull’Atlantico” tramite uno stato fantoccio saharawi. Le tensioni sono salite alle stelle quando Trump l’11 dicembre 2020 ha riconosciuto la sovranità del Marocco sulle zone contese e gli ha venduto armi per 1 miliardo di $, in cambio del riconoscimento di Israele.8 Algeri è preoccupata per lo sbilanciamento pro-Marocco degli Emirati Arabi, da un decennio interessati ad avere un ruolo in Nord Africa, da soli o in tandem con l’Arabia e utilizzando l’Egitto come testa di ponte. Anche il loro ruolo a sostegno del colpo di Stato in Tunisia è noto ed esibito. Non va tuttavia escluso che Tebboune abbia lasciato crescere le tensioni col Marocco per suscitare un’ondata di risentimento nazionalistico ( viene anche recuperata tutta la retorica filo-palestinese e antiisraeliana) per stornare l’attenzione popolare dalle difficoltà economiche e dalla disastrosa gestione della pandemia.

Un’alleanza fra borghesie sulla pelle dei lavoratori

L’Italia può trovare in questo variegato contesto di relazioni internazionali algerine un ruolo, sia per garantire gli investimenti italiani attuali (i giacimenti di Bir Rebaa da parte dell’Eni), sia i progetti futuri (ad esempio l’acquisto delle concessioni di BP in Algeria da parte di Eni, la creazione di un hub energetico in Nord Africa (energia solare e idrogeno verde). In fondo inaugurare un parco in onore di Mattei da parte di Mattarella significa rievocare le battaglie contro le sette sorelle americane del petrolio di una Italia peraltro saldamente ancorata alla Nato. Simbolo della tradizione italiana di giocare su più tavoli.  E rievocare l’appoggio dato al partito algerino ancora in sella. Un’alleanza fra borghesie con buona pace dei diritti umani e delle rivendicazioni dei lavoratori italiani e algerini.

E una conferma della politica estera italiana in Nord Africa: sempre in Nord Africa, l'Italia prosegue i suoi buoni rapporti con l'Egitto, chiudendo un occhio sull’omicidio Regeni e sulla carcerazione di Patrick Zaki, perché il fulcro delle relazioni fra i due paesi è l’estrazione a ritmi crescenti di petrolio e gas da Zohr IX un giacimento enorme scoperto nelle acque egiziane e dato in concessione a Eni, e da altri giacimenti sfruttati da Eni da sola o in collaborazione con BP. Uno dei faccendieri più attivi è stato Matteo Renzi, un fan di al-Sisi. E poiché da affare nasce affare, l’Italia ha continuato a rifornire di armi l’Egitto dei torturatori (1,2 miliardi solo nel 2020), comprese due fregate Fremm (costruite da Fincantieri).

I buoni rapporti con l’Egitto hanno consentito all’Italia di appoggiare ufficialmente al Sarraj, ma di avere un canale di comunicazione con Khalifa Haftar, quindi di barcamenarsi fra le due frazioni rivali in Libia. Nel frattempo continuiamo a foraggiare la guardia costiera libica che prospera sulla pelle dei migranti. Nel recente vertice a Parigi Draghi ha chiesto il rispetto della data del 24 dicembre per le elezioni in Libia (ma gli esperti ritengono che verranno procrastinate almeno per 4-6 mesi); ha chiesto il ritiro dei soldati turchi e dei mercenari russi…… E si è complimentato coi libici per il salvataggio dei migranti, senza spendere una parola sui lager, le torture, le atrocità che tutti conoscono. Il premier libico Dbeibeh ha ricambiato ringraziando l’Eni per il suo ruolo nel settore dell’energia. E potremmo continuare…

Il futuro della protesta sociale

I grandi assenti nel cerimoniale  per Mattarella in Algeria sono ovviamente i lavoratori e il movimento Hirak, in parte silenziato, come si è detto, dalle misure anti-Covid. Tebboune ha trovato i miliardi per gli SU-57, ma non per risanare gli ospedali fatiscenti, aumentare i posti letto, vaccinare nelle campagne. Ha solo concesso piccoli aiuti ai disoccupati come palliativo alla disastrosa situazione sociale. La pandemia dilaga (e certo l’algerino medio non può farsi ricoverare in Germania come ha fatto Tebboune quando si è ammalato).   Il tracollo economico del paese è sempre più accentuato, la forte dipendenza dagli idrocarburi si è evidenziato ancora di più come il problema di fondo. Ma soprattutto il  “pouvoir” (il complesso politico militare, la casta potremmo dire) che domina il paese, sembra intatto.

Come lavoratori italiani seguiamo con grande attenzione gli sviluppi delle proteste iniziate nel febbraio 2019. del movimento di protesta. Il movimento Hirak ha molte anime politiche, fra cui Il trotskista Partito dei Lavoratori, il Fronte delle Forze Socialiste, socialdemocratico, la Lega Algerina di Difesa dei Diritti Umani, il iRassemblement pour la culture et la démocratie (RCD),  laico. Accanto a loro anche l’opposizione islamica , il partito Jil Jadid, il Fronte Giustizia e Sviluppo, Movimento della Società per la Pace (MSP)    (cfr  Pagine Marxiste n.47 - Algeria in movimento - giugno 2019 mettere il link, sentire Davide). Nessuno di questi gruppi ha osato contrapporsi frontalmente all’esercito. Il movimento di protesta ha incoraggiato gli scioperi, ma non ha dato voce in modo preminente ai lavoratori,9 anche grazie al ruolo di pompiere dell’ UGTA – Unione General des Travailleurs Algèriens, un sindacato sostanzialmente filo-governativo. Tuttavia lo sciopero generale che ha bloccato dal 10 al 15 marzo 2019 porti, ferrovie, industrie e pozzi  è stato decisivo per le dimissioni di Bouteflika, segno evidente del peso che i lavoratori hanno avuto. 

Prima delle elezioni politiche il movimento Hirak aveva invitato a boicottare le elezioni, per protesta contro l’arresto, nell’imminenza del voto, di 273 gli attivisti, giornalisti e opinionisti, tutti per reati d’opinione (fra gennaio e giugno 2021 i fermati sono stati più di 3 mila).  E infatti quasi il 77% degli aventi diritto al voto si sono astenuti. Il governo non ha certo la legittimazione popolare, ma Tebboune può esibire il rispetto delle leggi esistenti e affermare che l’Hirak oggi non ha più motivo di esistere, perché si è voltato pagina. Nel complesso, la sospensione delle manifestazioni e la mancanza di una leadership definita ha fatto emergere un senso d’impotenza nel movimento di opposizione, che pure può contare su una massa di giovani impensabile nei paesi europei. Se da un lato lo Hirak è stato notevole per il grande numero dei partecipanti e la sua durata, ha mostrato i limiti di un movimento pacifico che si limita alla protesta e a chiedere il cambiamento senza porsi il problema dell’organizzazione e del potere. Il 1° settembre 2021 arresti di massa sono stati la risposta a pacifiche manifestazioni organizzate in Cabilia.  Tutto sembra ritornare al punto di partenza.

Secondo Adlène Meddi, giornalista algerino, è possibile una battuta di arresto per l’Hirak, magari di riflessione, ma c’è la società nel suo insieme, che ha sperimentato il potere di destituire un presidente che regnava da 20 anni. A suo avviso sul lungo periodo tutto questo riemergerà. Si sono formati sindacati autonomi vivaci e più indipendenti. Molti studenti si sono radicalizzati e hanno cercato l’unità coi lavoratori .

Oggettivamente la situazione non è favorevole per l’impennata della disoccupazione nel corso del 2020 (-20% delle ore lavorate. E’ vero che un’esperienza di lotta e di mobilitazione lascia sempre una eredità. Va sottolineata la generosità e la costanza di chi ha lottato. Ma indubbiamente l’orgoglio esibito dall’Hirak nel 2019 di “non avere leaders”, si è rivelato un limite se questo significa poca organizzazione e poca unità di intenti e di strategia. Occorre superare lo stadio della fiducia in chiunque critichi il vecchio regime, magari selezionando i compagni di strada e riflettendo sul ruolo gattopardesco giocato da certa borghesia “radicale”. Come nel caso di Issad Rebrab, il più ricco capitalista algerino, in rotta con il regime nel contesto dello scontro interno al gruppo dirigente post-Bouteflika (e per questo incarcerato), ma che poi mobilita polizia e magistratura contro i 196 dipendenti della Numilog di Béjaïa ( parte del  suo gruppo Cevital), colpevoli di essersi rivolti al sindacato e aver fatto sciopero per ottenere mesi di stipendi arretrati.

Purtroppo un altro grande assente in questo momento è un movimento operaio internazionale in grado di garantire solidarietà fattiva e militante. Denunciamo almeno, senza se e senza ma, la complicità della nostra borghesia con i regimi del Nord Africa. ■



Nota 1 Ufficialmente il contenuto dei colloqui è stato poca cosa: il governo algerino rivendica il diritto dell’Algeria ad industrializzarsi, a non essere più solo “una riserva di materie prime”. Chiede quindi investimenti. In primo luogo all’Italia. Per questo è previsto un Business Forum fra i due paesi agli inizi del 2022. Prima di Mattarella era andato in Algeria Ciampi nel 2003.


Nota 2-  L’era Bouteflika

Abdelaziz Bouteflika (1937-2021) appartenente al potente clan di Oujda , come Boumédiène e Ben Bella, i due leaders della guerra di indipendenza algerina (in cui Bouteflika ebbe un ruolo marginale), fu ministro degli esteri con entrambi fra il 1963 e il 1978. Emarginato dall’esercito, per uno scandalo finanziario, visse in esilio per sei anni. Rientrato in Algeria, tenne un profilo defilato dopo il colpo di stato del 1992. Si candidò presidente nel 1999, appoggiato dai militari (che dovevano dare un segnale di cambiamento all’estero, incaricando un civile “fidato”) e fu eletto anche grazie ai numerosi brogli, che probabilmente caratterizzarono anche le successive rielezioni.  Di fatto Bouteflika o meglio il suo clan governeranno per 20 anni in costante vigore dello stato di emergenza. Una serie di riforme consentirono la ripresa economica dell’Algeria, basandola principalmente sullo sfruttamento delle risorse petrolifere. Bouteflika riallacciò anche rapporti diplomatici con vari paesi europei e fu anche presidente dell’Unione africana. Non accettato dai berberi della Cabilia, represse con estrema violenza le loro manifestazioni col pieno appoggio dell’esercito. Nel 1995 con la mediazione della Comunità di sant’Egidio realizzò una sorta di pacificazione con gli islamisti, garantendo, nel contempo, all’esercito l’immunità rispetto alle azioni del passato. Nel 2011 anche l’Algeria fu scossa da numerose manifestazioni di protesta contro ’impennata dei prezzi di prima necessità, tra cui pane, olio e zucchero, ma anche contro la corruzione, la disoccupazione giovanile e la povertà. La repressione fu, come al solito nel paese, violenta. Nel 2015 esponenti del mondo economico e politico cominciano a premere per uno svecchiamento dello stato. Il clan Bouteflika  mise i servizi segreti sotto il diretto controllo della presidenza (il presidente era in carrozzella stroncato da un ictus) e ripresentò Bouteflika alle ultime presidenziali. Le manifestazioni del movimento Hirak e la perdita dell’appoggio dell’esercito costrinsero Bouteflika o chi per lui a rinunciare a un quinto mandato nell’aprile del 2019.



Nota 3

Per questo Di Maio e Di Stefano (come ministro degli Esteri il primo e viceministro il secondo), molto prima di Mattarella, si sono recati in visita mentre l’amministratore delegato di Eni, Descalzi, è di casa. Per l’Algeria siamo invece il terzo partner commerciale, con un forte squilibrio a vantaggio dell’Algeria stessa, perché importiamo gas per 3,14 miliardi di € ed esportiamo per 1,94.

Secondo i calcoli dell’ISPI importiamo  esattamente il 19,5% del gas che consumiamo, quindi l’Algeria è il nostro secondo fornitore dopo la Russia che ne fornisce il 26,5%. Per la cronaca il gas in Italia copre un quarto circa di tutto il fabbisogno energetico. Dopo il 2011, per ovvi motivi, l’Italia ha evitato di legarsi a un fornitore prevalente, ha ridotto drasticamente la dipendenza da Algeria e Libia, sviluppato altre reti di rifornimento ad es. dal Caucaso e dal mar Caspio. Nel 2019 Eni, Enel ed Edison hanno firmato tre accordi  con Algeri, che riguardano la fornitura di gas fin al 2027. In tutto le tre società si sono garantite 14 bcm (miliardi di metri cubi) di gas l’anno, trasportato principalmente dal gasdotto Transmed che attraversa la Tunisia e poi il Mediterraneo fino a Mazara del Vallo. Nel 2010 l’Algeria ce ne forniva 26 BCM. Su questo calo hanno inciso anche l’aumento dei consumi interni algerini, la diminuzione della produzione degli impianti algerini per mancanza di manutenzione,, l’avvio da parte algerina dell’esportazione di Gnl (gas naturale liquefatto)



Nota 4

Il parlamento algerino è formato da 407 seggi. Fino al 2019 il FNL ne aveva 161 e il suo alleato RND (Rassemblement National Démocratique) altri 100. Insieme avevano una larga maggioranza. Dalle elezioni del giugno 2021 è uscito un parlamento più frazionato: il FNL è sceso a 98 seggi, il partito RND ne ha ottenuto 58. In seconda posizione si è collocato l’Islamico Movimento per la Società e la Pace (MSP) con 65 seggi, e in quarta il nazionalista Fronte Futuro (Moustakbal) con 48 seggi e in quinta El Binaa, altro movimento islamista ha avuto 39 seggi. Nel nuovo parlamento sono entrati 84 eletti indipendenti;  altre 9 formazioni politiche si spartiscono i 15 seggi restanti.




Nota 5

La punta più alta della collaborazione Eni -Sonatrach è stata la costruzione fra 1978 e 1983 del TrasMed, il gasdotto che collega Algeria e Italia attraverso la Tunisia fino a Mazara del Vallo. Alla fine del “decennio nero” , l’Italia ha firmato con l’Algeria un patto bilaterale di amicizia, cooperazione e buon vicinato (2003). Come corollario è stato lanciato il progetto del Galsi, un gasdotto che avrebbe dovuto collegare le coste algerine alla Sardegna del sud e poi attraverso la Sardegna da Olbia a Piombino. Azionista di maggioranza del consorzio sarebbe stata Sonatrac e quello di minoranza Edison. Anche l’Europa ha stanziato fondi (120 milioni di € nel 2010), ma per ora il progetto è rimasto nel limbo.




Nota 6

Di recente  l’ex amministratore delegato Mohamed Meziane affronta il processo d’appello dopo una condanna a 5 anni di carcere per corruzione.  Uno dei capi di accusa riguarda un contratto con Saipem (controllata Eni). Anche l’Eni in primo grado è stata condannata (2018) e poi assolta (2020) e adesso andrà ancora in giudizio, per un altro affare che riguardava Sonatrach. Un terzo scandalo relativo ai rapporti Eni-Sonatrach (lo “scandalo Augusta”) ha portato a un altro processo.




Nota 7

Il Su-57 è un caccia multiruolo di quinta generazione costruito dalla Sukhoi, definito la “risposta russa” all’F-35 Usa. Invisibile ai radar (stealth), può raggiungere velocità ipersoniche, trasportare fino a 7.500 chilogrammi di armamenti, eseguire manovre di supremazia aerea, ma anche di intercettazione di bersagli di piccole dimensioni e missioni di assalto terrestre, trasporta anche 12 droni da ricognizione. L’intera partita costerebbe 2 miliardi di $.




Nota 8

In Algeria, morto il comandante in capo dell’Esercito, il gen. Ahmed Gaïd Salah, lo si è sostituito (23 dicembre 2019) col generale Saïd Chengriha, inveterato sostenitore del Fronte Polisario. Trump ha gettato benzina sul fuoco. In gennaio 2021 Biden ha cercato di ricucire lo strappo, riuscendoci solo parzialmente: Algeri resta ferma nel suo sostegno al diritto del popolo Saharawi a un referendum sull’indipendenza e non ha ancora riconosciuto il diritto all’esistenza di Israele. Gli Usa hanno ripiegato su un compromesso che valorizzi la funzione “antiterrorismo” dell’Algeria nella zona del Sahel. In questo conflitto l’Algeria si trova parzialmente isolata in Africa (dopo anni di sostegno ai Saharawi, ben 15 paesi africani hanno aperto un’ambasciata in Marocco e il Marocco è tornato membro dell’Unione Africana). Anche i paesi arabi hanno appoggiato la decisione del Marocco. Viceversa la chiassosa solidarietà dell’Iran ad Algeri  sulla questione ha creato più che altro imbarazzo.

Non va infine escluso che  il governo algerino sfrutti la tensione col Marocco per distrarre i propri cittadini dalla disastrosa situazione sanitaria  e dai disastri ambientali (90 morti negli incendi questa estate).



Nota 9

Peraltro il movimento operaio algerino ha scritto pagine vigorose di lotta sindacale. Citiamo solo nell’idustria, gli scioperi nell’acciaieria di El Hadjar tra il 2010 e il 2013,; m anche i 27 giorni di sciopero dei 2300 lavoratori della ENIEM – azienda che assembla elettrodomestici –nel febbraio 2013 e la settimana di sciopero dei 7 mila operai dell’area industriale di Rouïba, periferia di Algeri, contro la riforma delle pensioni. Nei servizi ricordiamo gli scioperi dei lavoratori della metro di Algeri nel novembre 2012 e nel marzo 2014; lo sciopero di 9 giorni del trasporto ferroviario nel maggio 2016; il blocco dell’intero sistema dei trasporti della capitale nel dicembre 2015; ed infine lo sciopero dei postini nel gennaio 2013, durato 13 giorni. I medici specializzandi, ad esempio, hanno scioperato per oltre 8 mesi consecutivi a partire dalla fine del 2017, mentre gli insegnanti si sono distinti per un’insolita marcia di protesta di circa 250 km tra Bugia Algeri nel marzo 2016.


https://www.lavocedellelotte.it/2021/06/12/elezioni-in-algeria-tra-conflitto-sociale-e-politica-controrivoluzionaria/


 





AM

Pubblicato su: 2021-12-07 (183 letture)

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