La “questione delle abitazioni” fa parte dei rapporti tra le classi, e noi la vediamo dal punto di vista dei proletari.
Negli anni ’60 e ’70, dovendo far fronte a un massiccio fenomeno di inurbamento di popolazione proveniente dalle campagne del Nord e del Sud, funzionale all’industrializzazione dell’Italia, lo Stato (come in parte già quello fascista) ha provveduto alla costruzione di centinaia di migliaia di alloggi “popolari” (finanziati con trattenute sui salari), anche per calmierare la rendita urbana (caro affitti), che altrimenti avrebbe esercitato una ancor più alta pressione sui salari.
Conclusa quella fase lo Stato ha abbandonato la costruzione di alloggi popolari e ha lasciato la gestione di quelli esistenti ai carrozzoni affaristici e clientelari di Comuni e Regioni.
Nel frattempo, grazie alla conquista di aumenti salariali e con i mutui bancari, una parte dei lavoratori ha acquisito la proprietà della casa: oggi solo il 20% delle famiglie italiane paga l’affitto, il 70% circa ha la casa in proprietà, e un altro 10% non è proprietario, ma non paga l’affitto; nei piccoli comuni, dove la rendita è bassa, poche famiglie sono in affitto; ma nei grandi comuni come Milano la percentuale in affitto raddoppia. Se poi consideriamo le sole famiglie operaie, il 51% risulta in affitto, e nei grandi centri urbani lo sono la gran maggioranza.
Inoltre: i giovani che mettono su famiglia oggi, con lavori precari, trovano sbarrata la strada del mutuo e della proprietà, a meno che vengano da famiglie abbienti, ma spesso anche l’alternativa dell’affitto, troppo oneroso.
A maggior ragione questo avviene per le famiglie di immigrati. Per questo, aggiungendosi nell’ultimo decennio anche una disoccupazione diffusa e persistente, la questione dell’abitare torna alla ribalta nelle grandi città dove migliaia di famiglie occupano gli alloggi lasciati vuoti dall’incuria pubblica. In mancanza di forti lotte operaie, tuttavia, l’intervento dello Stato non è più di tipo “riformista”, ma solo repressivo, con l’uso delle forze di polizia più numerose d’Europa per effettuare migliaia di sgomberi con vere e proprie operazioni militari.
Solo con il rilancio della lotta per il salario, il salario garantito e contro la precarizzazione, e collegando ad essa le lotte per la casa, sarà possibile conquistare una casa decente alle famiglie proletarie delle città.
ALER (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale) è l’ente pubblico di natura economica che, sull’eredità del sistema Gescal concluso nel 1992, gestisce il patrimonio abitativo pubblico della Lombardia, “in piena autonomia imprenditoriale ed organizzativa, patrimoniale e contabile”. Articolata a livello territoriale, sarebbe responsabile dell’assegnazione, tramite bandi e graduatorie, di unità abitative a quei settori della società che non possono permettersi affitti a livello di mercato. La sua attività si svolge di concerto con i Comuni, di cui gestisce gli immobili ERP, e con i sindacati CGIL, CISL e UIL, coordinati in commissioni per l’assegnazione ma anche - questi ultimi - nella gestione territoriale delle case popolari. Una politica antipopolare, una gestione affaristica e criminosa, investimenti e operazioni finanziarie spregiudicate (speculazioni edilizie, sottoscrizione di titoli tossici, appalti irregolari, mazzette…), stipendi esuberanti ai dirigenti, corruzione, nessuna trasparenza, ne fanno un organismo più interessato ai propri interessi aziendalistici e a tenere alta la rendita immobiliare che non a rispondere al fabbisogno abitativo dei proletari. Un ‘carrozzone’ impunito e intoccabile grazie alla rete di alleanze politiche e di reciproci favori con le parti istituzionali, che sopravvive su una voragine debitoria, difeso da un cordone di avvocati senza scrupoli che rendono pressoché impossibile per chi si avvicina ai suoi sportelli ottenere ascolto e giustizia su abusi, frodi e irregolarità subite. Ricatti e soprusi sono la regola verso le persone più deboli (stranieri, anziani e disabili).
Nonostante ristrutturazioni organizzative e avvicendamenti di poltrone i bilanci sono sempre in rosso e la politica abitativa costantemente da strozzinaggio verso la classe più disagiata: aumento continuo dei canoni di affitto e delle rette sulle spese condominiali, truffe contabili, fatture non rese pubbliche, normativa disattesa, segnalazioni di disservizi e manutenzioni ignorate, come ignorate sono la maggior parte delle legittime richieste degli inquilini (ad esempio il cambio alloggio nel caso di disabili, anziani o famiglie numerose o per l’insalubrità dell’alloggio).
L’arbitrio guida l’elaborazione delle graduatorie e l’assegnazione delle case, nonostante un regolamento determini voci e criteri di quantificazione che concorrono al punteggio di ogni richiedente.
L’esigenza di ‘fare cassa’ ha accentuato in questi ultimi anni la stretta repressiva sulle morosità e le occupazioni e la vendita del patrimonio edilizio, secondo una ‘politica di riqualificazione e valorizzazione’ del patrimonio.1 Il blocco della costruzione di nuovi alloggi o l’abbandono all’incuria di quelli inagibili (a Milano si contano circa 10.000 alloggi vuoti) riducono l’assegnazione delle case a numeri ridicoli rispetto alla domanda, gettando sul mercato privato e in situazioni non dignitose molte famiglie in graduatoria.
Il rapporto tra richiedenti e case disponibili2 o case sfitte lasciate marcire è lo scandalo più evidente di una politica edilizia volta a tutt’altro che a garantire un tetto a chi ne ha bisogno.
D’altro canto il mercato dell’affitto ha sempre tutelato e favorito i proprietari, le politiche di sostegno all’affitto dei comuni hanno solo riempito le loro tasche lasciando intatti i drammi e i problemi degli inquilini morosi incolpevoli.
Il profilo sociale di chi cerca di ottenere una casa popolare è quello del disoccupato, del precario, del lavoratore in nero o comunque sfruttato attraverso la miriade di contratti che hanno polverizzato la classe lavoratrice e rimpolpato le fila dei ‘working poor’. Ma ci sono anche anziani, pensionati e invalidi. Vengono tutti classificati come soggetti esposti a ‘fragilità sociale’, purtuttavia subiscono ogni sorta di angherie, pressioni e ricatti (il più assiduo è la minaccia indebita di togliere i figli a genitori morosi o sfrattati). La situazione di bisogno estremo e l’isolamento porta ad accettare condizioni inaccettabili di alloggio e pratiche umilianti di controllo sociale ("presa in carico" o percorsi di accompagnamento al lavoro), attivati da servizi sociali marcatamente discriminatori e razzisti e da soggetti del terzo settore.
In questa situazione la Giunta Regionale della Lombardia ha approvato nel luglio 2016 la Legge Regionale n.16 “Disciplina regionale dei servizi abitativi” e successivamente, nell’agosto del 2017 i Regolamenti Attuativi (n.4).
La legge porta a maturazione una tendenza già in atto a livello nazionale, sancita dal Piano Casa del Governo Renzi (2014) e già raccolta da qualche altra regione.
Dalla lettura della i poveri nuova legge emerge subito una peculiarità che è tutt’altro che terminologica: in luogo di edilizia residenziale pubblica, di casa popolare, oggetto della legge sono i “servizi abitativi”, pubblici (per) e sociali (per chi ha una capacità reddituale appetibile).
La casa popolare come bene pubblico scompare. L’organizzazione in servizi abitativi e la privatizzazione la trasformano in merce da porre sul mercato immobiliare, una fonte di rendita.
Lo scopo della legge è infatti determinare un’“offerta di servizi abitativi che coniughi funzione abitativa e sociale, per rispondere ai bisogni diversificati del territorio” (dal testo) in sinergia pubblico-privato e su obbiettivi sia sociali che istituzionali, servendosi di operatori no-profit come garanti del controllo e della pace sociali.
La diversificazione dell’offerta riguarda principalmente i servizi abitativi sociali, che propongono canoni calmierati, acquisti a prezzo convenzionato, affitti con patto di futura vendita. Il tutto garantisce lucro a privati, operatori accreditati, banche, finanziarie ma non solo: per contrastare l’emergenza abitativa la Regione costituisce “Agenzie per la Casa, fondi di garanzia o attività di promozione in convenzione con imprese di costruzione ed altri soggetti imprenditoriali o cooperative edilizie”.
Nel Programma di riqualificazione urbana e di valorizzazione del patrimonio abitativo, sulla base di dati dell’Anagrafe Regionale dell’Utenza e degli Immobili, si prospettano vendite e ristrutturazioni che sosterranno prezzi e rendita, “un’opportunità di crescita per i territori”!
E’ facile capire per chi e a quale scopo sia stata fatta la legge.
La gestione dei servizi abitativi, oltre a Comuni e ALER, sarà esternalizzata a ‘operatori accreditati’: cooperative, privati, soggetti del terzo settore. Istituti finanziari e banche saranno il supporto economico per ogni operazione (mutui, pignoramenti, acquisti). Agenzie per la casa, fondi di garanzia e convenzioni con cooperative edilizie o imprese edili affonderanno il fabbisogno abitativo nel mare dei loro affari.
L’attività imprenditoriale e finanziaria è garantita da un Fondo Immobiliare a cui partecipano soggetti pubblici e privati: Finlombarda s.p.a., Società Polaris Investment SGR Spa, Fondazione Housing Sociale, Fondazione Cariplo. Il Fondo gestirà mutui, sfratti e pignoramenti, piani di rientro…
L’offerta immobiliare sarà incrementata anche dal patrimonio di soggetti pubblici e privati, operatori accreditati compresi, che si aggiungerà a quello di ALER e Comune.
Un progressivo disinvestimento e vendita (“valorizzazione”) di alloggi sia vuoti che assegnati (fino al 15%), per esigenze di razionalizzazione, economicità e diversificazione dell’offerta, porterà denaro fresco nelle casse di ALER, che ha un buco di bilancio di oltre 345 milioni di euro.
Nelle “Azioni per l’accesso ed il mantenimento dell’abitazione” si svela un futuro prospero per il territorio, ma non per chi lo abita: nel caso di famiglie in difficoltà per il pagamento del mutuo o per sfratti da pignoramento, la Regione stipula accordi con le banche: l’aiuto andrà a loro. Allo stesso modo con le finanziarie, per chi deve acquistare la prima casa. Massicci investimenti nell’edilizia, grazie ad un mercato immobiliare sostenuto da canoni e prezzi, garantiscono una rendita elevata alle aspettative degli speculatori immobiliari. A favore dei costruttori si stabiliscono sconti o la cancellazione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria.
Nei casi di morosità incolpevole pioveranno aiuti economici ai proprietari e stipule di canoni concordati, scongiurando possibili diminuzioni del canone di affitto.
Dall’applicazione della legge, prevista per i prossimi mesi, cosa cambierà nel concreto per chi cercherà ancora di ottenere una casa popolare?
I comuni dovranno stilare un piano triennale dell’offerta dei servizi abitativi pubblici e sociali e due avvisi pubblici all’anno.
La graduatoria, come tutte le azioni e informazioni per l’utenza, sarà gestita da una piattaforma informatica. I criteri di inserimento non saranno più il reddito, il nucleo familiare, i parametri di disagio abitativo e sociale, bensì sarà ogni abitazione ad avere una sua graduatoria, a cui si iscriveranno le persone che vi sono interessate. Chi non risulta primo della lista per l’alloggio scelto (potrà sceglierne fino a 5), dovrà aspettare il bando successivo.
Se con il vecchio regolamento chi aveva un punteggio elevato aveva la precedenza sugli altri con punteggio inferiore, ora può vedersi scavalcato se non ha i requisiti adeguati all’abitazione scelta.
Cambierà il peso e la priorità dei criteri di valutazione al fine del punteggio: bassi redditi o uno sfratto alle spalle saranno valutati meno degli anni di residenza in regione. L’ordine di priorità sarà il seguente: durata del periodo di residenza nel comune e in Lombardia, disagio familiare, abitativo, economico. Ne risulta un meccanismo di registrazione e assegnazione per nulla semplice e trasparente. Prova ne sia che a Cinisello Balsamo, uno dei comuni (con Monza e Sesto) in cui la legge dal gennaio di quest’anno è applicata in via sperimentale, le domande sono precipitate e nessuna casa è stata assegnata.
L’insieme dei soggetti che chiederanno un ‘servizio abitativo’ perderà la sua connotazione di classe per diversificarsi in arbitrarie categorie ‘sociali’: anziani, disabili, famiglie di nuova formazione, famiglie monoparentali, polizia.
La torta sarà spartita tra queste categorie, disponendo in deroga un valore massimo del 20% delle case disponibili per le famiglie indigenti (ISEE ≤ 3000 euro), cioè per chi attualmente occupa i primi posti in graduatoria, e solo se saranno in carico ai servizi sociali. Il 30% sarà assegnato agli anziani, il 20% a famiglie di nuova formazione, il 20% a famiglie monoparentali, il 15% ai disabili, il 10% alle forze di polizia (con deroghe a redditi e proprietà di case), il 5% ad altre categorie. Questa suddivisione, si spiega nel testo di legge, ha lo scopo di creare maggior integrazione sociale nel territorio.
Secondo questo meccanismo di domanda e assegnazione, per chi non ha reddito non ci sarà nessuna casa adeguata, dato che l’assegnazione avverrà non in base al bisogno ma alla sicurezza del pagamento.
Non sono più previste le assegnazioni di emergenza. Ciò significa che famiglie con minori, anziani o disabili sfrattate e senza un tetto troveranno ad accoglierle solo la strada o saranno smembrate tra parenti, amici e, se stranieri, il proprio paese di origine (come sempre caldeggiato dai servizi sociali).
La povertà assoluta sarà fatta rientrare nella categoria di indigenza solo se si accetterà di essere ‘presi in carico’ dai servizi sociali, secondo lo stesso meccanismo di subordinazione, ricatto e controllo sociale previsto dal Jobs Act.
Per gli sfrattati saranno messi a disposizione, per il 10% delle unità abitative disponibili, "servizi abitativi transitori" per 12 mesi, oltre ad alloggi di privati sempre temporanei.
Gli inquilini di una casa popolare non avranno più la garanzia di rimanerci, se cambieranno le loro condizioni economiche. Oggi quello che cambia è il canone di affitto, domani sarà la casa.
Il canone può solo aumentare. Poiché non dipende solo dall’ISEE ma anche dal valore dell’immobile, la campagna di valorizzazione del patrimonio avrà l’effetto per il proletariato di avere affitti più alti.
Inutile dire che la lotta all’"abusivismo" e alla morosità saranno in primo piano.
Chi occupa è ancor più di oggi criminalizzato, accusato di sottrarre abitazioni a chi ne ha diritto e perseguito a partire dalla delazione premiale: un numero verde attivo 24 ore su 24 che raccoglie le soffiate dei vicini.
Un sistema di controllo e repressione (Osservatorio per la Legalità e la Trasparenza) sarà messo in atto con l’introduzione di videocamere (a Milano sono previsti 3,65 milioni di euro solo per l’installazione di sistemi di videosorveglianza), controlli ispettivi, referenti di caseggiato e vigilantes, portierato sociale, presìdi attivi di inquilini ma anche della polizia locale o di guardie giurate. All’Osservatorio parteciperanno: ALER, i sindaci dei comuni, le OOSS più rappresentative, la polizia e un fantomatico Comitato Inquilini. La sua banca dati sarà a disposizione di enti di controllo pubblici e privati.
L’allestimento di un tale panopticon garantirà la pace sociale, l’ordine pubblico e la prevenzione dei conflitti, attaccherà quindi ogni tentativo di solidarietà di classe. Sarà caccia in grande stile all’occupante per necessità (in condizioni già drammatiche e persecutorie grazie all’articolo 5 del Piano Casa, che nega le utenze e la residenza alle famiglie in occupazione) e nessuna pietà per chi non riesce a pagare l’affitto.
Già oggi il dispiegamento sproporzionato di polizia, carabinieri, vigili, vigili del fuoco, Digos…allo sfratto di una famiglia o finanche di una persona sola o ad uno sgombero è la consueta provocazione ed intimidazione di un dispotismo di stato che non lesina esborsi scandalosi di denaro a fronte dei bilanci in rosso e casse vuote tanto citati per giustificare l’assenza di qualsiasi intervento pubblico a sostegno dell’edilizia pubblica, della morosità e della povertà.3 Il diritto alla casa è incompatibile con l’attuale fase di accumulazione del capitale.
L’edilizia popolare, sviluppatasi in seguito al processo di industrializzazione e di concentrazione operaia e proletaria nel secolo scorso, oggi con questa legge è soggetta ad un totale smantellamento e la povertà viene eliminata semplicemente togliendola dal computo delle banche dati.
La casa popolare, perdendo la sua funzione sociale di bisogno primario per diventare fonte di rendita e speculazione per la classe padronale, la borghesia imprenditoriale e i loro accoliti, sarà accessibile solo a chi potrà permetterselo. Tutti gli altri sulla strada, a sfidare il decoro urbano.
La nuova Legge si è imposta senza ostacoli: né da parte delle forze politiche (qualche timida contrarietà dall’opposi-zione) né della mobilitazione popolare, piuttosto debole.
E’ necessario rispondere a questo ennesimo e profondo attacco al proletariato – perché aggredisce i suoi settori più deboli e nelle sue condizioni vitali - con un’organizzazione di base capillare e diffusa e l’unità dei fronti di lotta anticapitalista.
Finora le lotte per la casa, dure e violente, si sono spese per il loro unico obbiettivo: la difesa di un bene primario e di un diritto che dovrebbe essere garantito. Sono avanzate con l’avanzamento della povertà nel loro terreno di azione circoscritto, sulla base di analisi e prospettive non sempre con chiare connotazioni di classe. Si individuano i soggetti, i poveri, e un bisogno negato. Si affrontano quindi sfratti e sgomberi, soprusi e discriminazioni, si interviene per l’assegnazione delle case popolari, l’automanutenzione, per la diminuzione dei canoni di affitto, per la requisizione di alloggi sfitti privati e pubblici ... per combattere un potere prevaricante ed oppressivo, con una lotta popolare fatta di autorganizzazione e solidarietà. Alcune realtà del movimento crescono attorno a quartieri marginali o ad occupazioni, con un’organizzazione territoriale articolata in varie attività autogestite e solidaristiche, ma spesso chiuse, nel loro limite di obbiettivi concreti, immediati e utili, a strategie di più ampia portata.
La lotta per la casa fatica ad inserirsi e sentirsi parte della lotta proletaria contro il capitalismo. Certamente molti e complessi sono i problemi che sorgono lavorando con un settore proletario attanagliato da problemi di sopravvivenza, sfiduciato, isolato, esposto ad ogni genere di ricatto in ambito lavorativo e sociale. In più si devono affrontare e ci si deve difendere dai continui e violenti attacchi repressivi delle forze dell’ordine e dell’apparato istituzionale.
È necessario tuttavia far evolvere la grande disponibilità alla lotta del proletariato organizzato nei vari collettivi e comitati per la casa, approfondendo il lavoro di coesione sociale e la formazione di una coscienza di classe; unire l’analisi delle contraddizioni del capitalismo con la prospettiva rivoluzionaria, per accrescere e rafforzare la solidarietà e l’unità di tutte le lotte proletarie. Al centro di questa lotta ‘integrata’ non può che esserci il salario, perno della contraddizione capitale/lavoro. Solo un salario minimo e garantito potrà superare sia le divisioni di classe che la condizione di indigenza di parte del proletariato, lo sfruttamento brutale nel lavoro, la paralisi dell’aiuto assistenziale che lo sottrae all’unica via di riscatto: l’organizzazione di classe e la lotta.
Ma occorre saldare il fronte proletario anche rivendicando temi specifici, come l’abbassamento e il blocco dei canoni di affitto per i lavoratori, l’abbattimento delle spese condominiali, l’esenzione dal pagamento di affitti e spese per i precari, i disoccupati e i pensionati sociali e al minimo. Sono elementari misure di ‘igiene sociale’ che pongono sul tavolo il carattere di classe del problema abitativo.
Superare le divisioni: quelle tra occupanti e inquilini, stranieri ed italiani, lavoratori, disoccupati, pensionati. Potenziare un’organizzazione capillare, dai comitati di caseggiato a quelli di quartiere fino ad una rete nazionale che si coordini con altre lotte anticapitaliste in un fronte comune, per rafforzare anche la difesa dagli attacchi repressivi e dalla violenza di stato. Dare un segno più politico alla lotta per la casa significa lavorare per una prospettiva rivoluzionaria di sconfitta e superamento del capitalismo. ■
1. Nel caso di Milano si prevedono, secondo il Piano di Risanamento Ambientale, dismissioni entro il 2019 di circa 10.000 unità abitative e l’incentivazione all’acquisto di una parte degli immobili (44%) dagli stessi inquilini. Una convenzione con le banche Intesa San Paolo, Unicredit, Banca Popolare di Sondrio, Veneto Banca garantisce una fluida gestione dei mutui contratti. Gli immobili destinati all’edilizia popolare saranno spostati nei paesi limitrofi.
2. A Milano ci sono circa 18.000 appartamenti vuoti gestiti da ALER e MM e 20.000 privati, a fronte di 10.000 persone in graduatoria e nel 2017 l’assegnazione di 480 case da parte del Comune e ALER.
3. A Milano nel 2017 sono state sgomberate 140 famiglie; delle loro abitazioni solo 3 sono state assegnate. Il costo di uno sgombero è di 4000 euro per la parte che ha in appalto il servizio, più l’impiego di 40/50 poliziotti o carabinieri, di vigili, ambulanze…ne risulta un costo superiore a quello di una ristrutturazione di una casa popolare.