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N°42 Pagine Marxiste - Aprile 2017
Gli affari della guerra
Il nemico è in casa nostra!

L'Italia - ancora sprofondata nella crisi occupazionale, del debito statale e in procinto di varare nuovi tagli al bilancio sulla pelle dei lavoratori – non ha mai tagliato la quota destinata alle spese militari. È il primo Paese fra quelli occidentali e della Ue per personale impegnato nelle missioni Onu, il secondo in quelle Nato, il primo per partecipanti nelle missioni Ue. Negli ultimi cinque anni ha aumentato l'export di armi del 22% complessivamente; nel 2017 la spesa per nuovi armamenti è aumentata  del 10%, 15 milioni di euro al giorno. Il maggior cliente della democratica repubblica italiana è stato il regime dispotico, oppressore, torturatore turco di Recep Tayyp Erdogan. Bisogna pur alimentare questa macchina da guerra!!


Infatti. Questa corsa agli armamenti e alla guerra ripresa con forza degli ultimi anni anche in Italia, è ora accelerata dalla competizione con l''America di Trump, che ha proposto l''aumento di quasi il 10% della spesa militare americana. Nel 2017 le spese militari dell''Italia ammonteranno a 23,4 miliardi di euro,(1) l''1,15% del PIL e pari a 64 milioni di euro al giorno, circa 400 euro che ogni residente in Italia, bambini e anziani e immigrati compresi, sono costretti a sborsare in un anno.(2) Nel 2016 l''Italia si è attestata al 12° posto nel mondo per spesa militare, con l''1,4% del totale. Rispetto al 2006 questo capitolo del bilancio statale italiano è aumentato del 20,8 per cento a valori correnti, e del 4,3 calcolando l''inflazione. Un capitolo di spesa statale che non è sostanzialmente diminuito per peso sul PIL, mentre la spesa per pensioni, istruzione e sanità subisce continui tagli.

Nel 2016 il Ministero per lo Sviluppo Economico disponeva di un fondo complessivo di 4,3 miliardi di euro; ha dato a Finmeccanica, Fincantieri e ad altre aziende direttamente coinvolte nei programmi di armamento 2,75 miliardi, pari al 73% dei 3,76 miliardi destinati alla politica industriale e alle piccole e medie imprese.
Il che significa che la spesa per armamenti è per circa la metà sostenuta dal Ministero per lo Sviluppo Economico e quindi ufficialmente non considerata spesa militare, ed è finanziata con prestiti molto onerosi che vanno a incrementare il debito pubblico e che i lavoratori saranno chiamati a pagare, in un modo o nell''altro. Se non si ribellano.
Circa un quarto della spesa militare (24%), pari a 5,6 miliardi, servirà ad acquistare nuovi armamenti, con un aumento del 10 per cento rispetto all''anno scorso.
Si tratta di enormi commesse statali, a volte sovradimensionate rispetto alle esigenze operative delle FFAA.(3) Occorrono acquisti sostanziosi non perché servano all''esercito, ma per lanciare il prodotto sul mercato internazionale. Lo ha dichiarato esplicitamente la ministra della Difesa, Pinotti.(4) Questo è l''aspetto “economico” del rapporto tra il comparto industriale bellico e lo Stato, il quale garantisce, come agli altri comparti della produzione nazionale, la propria protezione per consentirgli di conquistare nuove fette del mercato capitalistico mondiale a spese dei concorrenti. D''altra parte ogni Stato è in primo luogo il rappresentante della borghesia nazionale, e in quanto tale ne persegue gli interessi.
L’aspetto politico del rapporto può essere sintetizzato con la famosa frase di von Clausewitz: "La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi". È insomma un’espressione della violenza organizzata di uno Stato contro gli Stati di altre borghesie. 
Secondo il rapporto annuale del SIPRI l''anno scorso l''export mondiale di armamenti è cresciuto in media più che negli ultimi cinque anni, giungendo ai livelli più alti dal crollo del Muro di Berlino e dell’Uni one Sovietica.
Il riarmo mondiale ed italiano è indotto, da una parte, dal rimescolamento degli assetti di potenza internazionali, dall’accelerazione della loro contesa a causa del declino relativo degli Stati Uniti e delle difficoltà politiche della UE, associate al rafforzamento dei nazionalismi, fatti ai quali dall’altra fa da contraltare l’ascesa dei paesi asiatici Asia (Cina in particolare). Un’ascesa che intensifica la concorrenza internazionale tra le potenze a livello economico e in prospettiva anche militare e con questo apre - come sta accadendo in Medio Oriente-Nord Africa (Mena) - alle medie potenze regionali (Iran, Arabia Saudita, Turchia, Egitto, etc.) la possibilità di affermare la propria influenza. È in questa contesa che deve essere collocata anche la ripresa della spesa militare dell’imperialismo italiano, una spesa che non può trovare alcuna giustificazione né agli occhi dei lavoratori italiani né tantomeno davanti a quelli dei lavoratori e delle popolazioni mediorientali e ovunque la “merce armamenti” viene consumata, annientando centinaia di migliaia di vite umane, producendo milioni di profughi, e  distruggendo città, infrastrutture, siti storici, prodotto di decenni e secoli di lavoro umano. Ironia atroce dello sviluppo bestiale del capitalismo è che persino queste distruzioni gli forniscono nuovo terreno, per la “ricostruzione”. 
Ma questa realtà deve essere dissimulata agli occhi dell’opinione pubblica e degli elettori, per i quali la necessità di maggiori investimenti nel complesso militar-industriale, viene giustificata mistificandola. Politici, talk show e grandi testate giornalistiche collaborano nella costruzione di una cortina fumogena per occultare le motivazioni e gli interessi reali dell’imperialismo italiano e della lobby dell’industria degli armamenti che promuovono la spesa militare. Non vengono mai usati le brutali espressioni “guerra”, o “aggressione”. Si parla sempre di “difesa”, della democrazia e dei diritti umani, di lotta al terrorismo dopo un attentato dell’Isis, di controllo dell’immigrazione dopo l’affondamento di un barcone nel Mediterraneo, di contrasto alla criminalità dopo un grave fatto di cronaca nera.
 
COME SARANNO IMPIEGATI ARMAMENTI E MILITARI PAGATI CON LE TASSE VERSATE DAI LAVORATORI ITALIANI E IMMIGRATI?
La risposta ce la fornisce il Ddl approvato lo scorso 10 febbraio dal Consiglio dei ministri per dare concreta attuazione al “Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa”, stilato nel 2015.(5)
Vediamo cosa significa in termini chiari e concreti questa legge quadro.
Al primo posto troviamo la difesa degli “interessi vitali o strategici del Paese”, anziché l’aulica espressione “Difesa della Patria” stabilita dalla Costituzione italiana (art. 52). Non si tratta più di “difendere” il sacro suolo patrio da attacchi nemici, ma di affermare gli interessi ben concreti e materiali dell’imperialismo italiano.
“Il contributo alla difesa collettiva dell’Alleanza Atlantica e al mantenimento della stabilità nelle aree incidenti sul Mare Mediterraneo, al fine della tutela degli interessi vitali o strategici del Paese” è individuato come secondo compito. La Nato, capeggiata dagli Stati Uniti, rimane l’ambito dentro il quale è (per ora) facilitato il perseguimento dei propri interessi, in contrapposizione a quelli di altre singole potenze o associazioni di potenze, asiatiche in particolare, con la Cina in testa. La UE d’altra parte appare alquanto lontana dalla possibilità di creare un suo apparato militare unitario ed efficace. 
La “gestione delle crisi al di fuori delle aree di prioritario intervento, al fine di garantire la pace e la legalità internazionale” è il terzo punto che sostituisce di fatto l’art. 11 della Costituzione che recita: “L''Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Quelle che qui vengono definite “crisi”, dall’Ucraina, alla Siria, alla Libia, e al continente africano in generale, sono le guerre che le principali potenze europee hanno contribuito a fomentare, e dalle quali, al di là dell’esito strategico, traggono immediati profitti i gruppi degli armamenti. 
La proiezione principale della violenza militare dell’imperialismo italiano si focalizza sul Mare Nostrum, dai Balcani al Medio Oriente e al Nord Africa. Un’area dove, in nome della stabilità, della guerra al terrorismo e della democrazia, le potenze, regionali e globali, stanno sgomitando per l’influenza economica e politica. Questa sarebbe la “gestione delle crisi”. La Libia occupa attualmente un posto centrale per l’Italia, in diretta e forte contesa con gli interessi economici e strategici francesi, ma anche per la guerra che sta conducendo contro i profughi, guerra che vede un’accelerazione stimolata dalla contesa elettorale tra i partiti al governo e quelli populisti e xenofobi. Ma, considerando il numero di soldati impegnati, anche l’Irak, e l’Afghanistan hanno un’importanza rilevante per l’imperialismo italiano (vedi scheda sulle missioni militari). 

CENTRALIZZAZIONE DELLA GUERRA, L’ESECUTIVO SI ARROGA LE DECISIONI SULLE MISSIONI MILITARI
Il Libro Bianco allarga il diritto di intervenire militarmente per “la pace e la legalità internazionale” a tutto il globo, con missioni che saranno finanziate da un fondo del ministero dell’Economia e delle Finanze, grazie ad un provvedimento legislativo del 2016 che le istituzionalizza riconoscendole giuridicamente.(6) 
La legge sottrae di fatto al Parlamento la facoltà di approvare o respingere le missioni militari, sulle quali esso deve limitarsi ad esprimere “atti d''indirizzo”, e conferisce in definitiva pieni poteri a riguardo al potere esecutivo, che ha la facoltà di inviare o prorogare i contingenti militari all’estero, previa comunicazione al Presidente della Repubblica ed eventuale convocazione del Consiglio Supremo di Difesa. Viene così a cadere ogni parvenza di “sovranità popolare” in materia di guerra, anche se sappiamo benissimo che il parlamento borghese non ha mai fermato una guerra. 
Ultimo compito, ma non meno importante, di cui sono incaricate le Forze armate è la «salvaguardia delle libere istituzioni», con «compiti specifici in casi di straordinaria necessità ed urgenza», la difesa cioè delle istituzioni che garantiscono il dominio della borghesia italiana sulla classe dei lavoratori, cui va aggiunta la repressione delle lotte operaie.

LA LOBBY DELL’INDUSTRIA MILITARE OTTIENE UN RICONOSCIMENTO ISTITUZIONALE
Il Libro Bianco, oltre a ridefinire i compiti o la struttura delle forze armate, istituzionalizza per così dire la lobby dell’industria militare offrendo incarichi di dirigenza – come quella di Segretario generale, responsabile dell’area tecnico-amministrativa della Difesa, e di Direttore nazionale degli armamenti - ad alcuni suoi esponenti. A questi dirigenti assegna poi il compito di elaborare, sulla base degli indirizzi in esso contenuti, la strategia industriale e la tecnologia con cui attuare una collaborazione con l’industria, l’università e la ricerca.(7)
Il Libro Bianco definisce l’industria della sicurezza e difesa «un pilastro tecnologico, manifatturiero, occupazionale, economico e di crescita senza eguali per il “Sistema Paese”» … «Il binomio “strumento militare – industria nazionale” «contribuisce, attraverso le esportazioni, al riequilibrio della bilancia commerciale e alla promozione di prodotti dell’industria nazionale in settori ad alta remunerazione». Le armi, le forze armate, le guerre, strumenti di distruzione di vite umane e di ricchezza sociale, sono presentate come un fattore progressivo. Solo la barbarie capitalistica può giungere a tale cinismo. 
Chi in Italia beneficia della vendita degli armamenti sono 112 aziende – di cui le maggiori appartengono o sono partecipate del gruppo Finmeccanica-Leonardo (Alenia, Agusta Westland, Selex ES, Oto Melara, MBDA Italia) (8) che per la quota maggiore è proprietà dello Stato,(9) oltre a Fincantieri, e Iveco, Industrie Bitossi, e 100 piccole e medie - per un totale di 15,3 miliardi di fatturato annuo, che sfruttano il lavoro di circa 50mila salariati, la cui produttività è fortemente cresciuta (giungendo a 100mila euro per addetto), una misura degli enormi profitti che ne derivano per i loro padroni, statali o privati. (10)
Il complesso militare-industriale realizza enormi profitti  e quindi attrae capitali. Secondo uno studio di Morgan Stanley del 2014, il valore delle azioni dei maggiori produttori di armi statunitensi sono aumentate di circa 277 volte negli ultimi 50 anni rispetto a circa 68 volte quelle del mercato complessivo. Ecco perché anche in Italia crescono questi affari.
Nel 2015 (11) sono quasi triplicate, rispetto al 2014, le autorizzazioni per la vendita di armi italiane all’estero (+186%). (12)  La parte del leone in questi acquisti la fanno i paesi UE e Nato, passati dal 55,7% al 62,6%. Cresce anche l’intermediazione finanziaria delle principale banche italiane che dal 2013 non sono più obbligate a chiedere l’autorizzazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, basta una loro semplice comunicazione via web delle transazioni effettuate. Le banche italiane legate al commercio di armi sono: BNL, Intesa e Unicredit con una serie di istituti minori (Banca Etruria, Ubi, Banco di Brescia, Popolare Commercio e Industria, Regionale Europea), oltre a una serie banche popolari (Emilia Romagna, Carispezia, Banco Popolare, Valsabbina, Banca Popolare di Sondrio, Carige, Etruria, Parma e Piacenza, Credito Cooperativo Cernusco S.N. e Versilia e Lunigiana, Spoleto, Friuladria, Bpm), e perfino le Poste Italiane e una banca libica.(13)

SVILUPPIAMO UNA CAMPAGNA DI INFORMAZIONE E INIZIATIVE CONTRO IL COMPLESSO MILITARE INDUSTRIALE ITALIANO E INTERNAZIONALE.
CONTRO LE SPESE PER LA “DIFESA” USATA ALL’ESTERO E PER LA REPRESSIONE ALL’INTERNO.
NO AI TAGLI SU PENSIONI, SANITÀ, SCUOLA, 
NO ALL’AUMENTO DELLE TASSE PER PAGARE ARMI E FFAA!
INTERNAZIONALISMO DEI LAVORATORI CONTRO IL MILITARISMO!
GIULIA LUZZI

NOTE:
1 Le spese per i carabinieri nella loro funzione di “ordine pubblico”, che comprende la repressione contro le lotte operaie, sono escluse dal calcolo. Se venissero incluse la spesa giungerebbe a 27 miliardi di euro.
2 Il calcolo è di Mil€X 2017, l’Osservatorio sulle spese militari italiane, Primo rapporto annuale sulle spese militari italiane presentato alla Camera il 15.02.2017.
3 Esempio è l’acquisto di 50 supercorazzati ‘Centauro 2’ prodotti dal consorzio Iveco (Fiat) – Oto Melara (Finmeccanica/Leonardo), costo 11 milioni cadauno, che si aggiungono ad una forza corazzata di cui solo pochi mezzi “sono stati schierati in missioni estere, più a scopo di marketing che altro; gli altri vengono cannibalizzati per i pezzi di ricambio o vengono lasciati arrugginire nei depositi”. Mil€x.org, 11.10.2016 
4 «La produzione estensiva di sistemi per il cliente nazionale è il prerequisito di referenza indispensabile ad ogni opportunità di vendita all’estero … in linea con le esigenze di un mercato estremamente competitivo.» Dal punto D. “Prospettive dello: Schema di decreto ministeriale di approvazione del programma pluriennale di A/R n. SMD 01/2016, relativo all’acquisizione di una prima tranche di veicoli blindati Centauro2 e relativo supporto logistico”, trasmesso alla presidenza del Senato dalla ministro Pinotti il 27.09.2016. 
5 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Revisione e riorganizzazione della formazione e del funzionamento delle Forze Armate, 10 febbraio 2017; Il Ddl delega «il Governo per la riorganizzazione dei vertici del ministero della Difesa e delle relative strutture, la revisione del modello operativo delle Forze Armate, la rimodulazione del modello professionale e in materia di personale delle Forze Armate e la riorganizzazione del sistema della formazione». 
6 Si tratta del ddl 1917-B sulle missioni internazionali, approvato il 21 luglio 2016, ed entrato in vigore il 31 dicembre. L. 21 luglio 2016 n. 145
7 Letteralmente: “con la quale implementare una nuova strategia di collaborazione ad ampio spettro tra la Difesa, l''industria e il mondo universitario e della ricerca”. 
8 Al primo posto si classifica Alenia Aermacchi e al secondo Agusta Westland, che nel 2015 hanno complessivamente venduto oltre 4,5 miliardi di euro di armi, aerei in prevalenza, (contro poco più di 1 miliardo nel 2014). Questo rappresenta oltre il 58 per cento del valore globale venduto da tutte le aziende italiane.
9 Il ministero dell''Economia e Finanze vi partecipa con il 30,2%. 
10 Studio Prometeia, Il sistema industriale della difesa per il sistema Paese, Risultati 2015.
11 Rapporto 18 aprile 2016 della Presidenza del Consiglio. Per il 2016 non sono ancora disponibili dati più dettagliati 
12 Relazione annuale del governo sull''export militare italiano 2015.
13 «Nigrizia», 2.5.2016; cita la relazione del ministero dell''economia e delle finanze (Mef), allegato alla Relazione al parlamento sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell''esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, 2015.


Missioni estere
Dal 2009 al 2014 i fondi approvati per le missioni estere sono stati mediamente di 1,3 miliardi di euro l''anno.

1 miliardo e 132 milioni di euro stanziati per missioni militari italiane all''estero nel 2017, di cui 111 milioni per la cosiddetta “cooperazione allo sviluppo” del Ministero degli Esteri (leggi: “preparazione del terreno di influenza”) pari a oltre 3 milioni al giorno!! 7459 militari e 167 unità di forze di polizia in giro per il mondo.
La missione più impegnativa per personale impegnato e per costi è quella in Iraq, Prima Parthica (iniziata nel 2014) il cui obiettivo è di fornire supporto operativo alle forze di sicurezza irachene, formare i soldati delle forze armate e gli agenti di polizia, contribuire alla messa in sicurezza dei confini nazionali. 100 carabinieri sono di stanza a Baghdad per addestrare la polizia irachena; a Erbil ci sono 200 addestratori italiani per la formazione di 2000 peshmerga. In Irak il Consiglio dei Ministri italiano ha stabilito di mantenere fino a 1 497 unità, il secondo contingente più numeroso dopo quello americano (3700).
Il secondo contingente militare italiano più numeroso all''estero è quello in Afghanistan, con 900 uomini.
In Libia è in atto una missione guidata dal servizio segreto esterno, Aise, oltre all’operazione Ippocrate, con l’ospedale da campo a Misurata (iniziata nel 2016), in cui sono impegnati 300 uomini; (*) Mare sicuro, con 700 soldati. Senza contare le forze speciali dei servizi segreti, si arriva 1000 militari italiani nella ex colonia.L’Italia è impegnata in 25 missioni militari all’estero, in 18 paesi con 6750 uomini.

IN AFRICA 
Corno d’Africa, con la missione Eucap Nestor; Somalia, Atalanta (407 uomini), Ocean Shield, EUTM (2010, dal febbr. 214 sotto comando italiano, 123 uomini); Gibuti, base di supporto, 116 uomini; Egitto, MFO; Marocco, Minurso; Mali, Minusma e EUTM (2013); Darfur, Unamid; Sud Sudan, Unmiss; Niger, Eucap Sahel; ep. Centrafricana, Eufor.

IN EUROPA
Bosnia Herzegovina, European Uni on Force Althea; Mare Sicuro; Eunavformed/Sophia guidata dall’Italia; Kosovo, 538 uomini impegnati in Eulex e Kfor-Joint Enterprise (1999); Cipro, Unficyp (1974); Malta, Miccd; nel Mediterraneo, Active Endeavour; Sea Guardian (287 unità); Balcani occidentale e Georgia, Eumm. Lettonia, 160 militari; Bulgaria, 110 militari; Islanda, 145; Bulgaria, 110 uomini; Islanda, 145 uomini, questi cinque paesi l’Italia partecipa alle missioni della la Nato.

IN MEDIO ORIENTE
Libano, Unifil-Mibil (2006), seconda maggiore missione militare italiana; Afghanistan, Resolute Support-Eupol (2015); Turchia, O.P. Sagita; EAU, Barhein e Qatar, Al Minhad Task Force Air 126 uomini; In Cisgiordania un avamposto, Tiph2; Palestina, Miadit; Irak, Middle East-Untso, e 450 soldati italiani a difesa dei lavori sulla grande diga di Mosul; Turchia, Active Fence, 130 uomini. Nel quadro di una crescente collaborazione tra le Forze Armate di Italia e Qatar, sancita dal Memorandum d’Intesa (MoU) del giugno 2016, ai primi di marzo 2017 sono stati firmati tre “accordi tecnici” tra le due marine, sostanzialmente allo scopo di formare e addestrare gli equipaggi qatarini per le corvette acquistate dall’Italia.

IN ASIA
India-Pakistan, Unmogip (1949);
In Afghanistan, Resolute Support (2015), (subentrata a Isaf).


NOTE:
*. http://www.combat-coc.org/lospedale-corazzato-per-la-guerra-di-libia/
http://www.combat-coc.org/opporsi-alla-terza-guerra-di-libia/


 

Export  di armamenti
Il valore globale delle licenze di esportazione definitiva di armi dall’Italia, (1) all’ottavo posto mondiale in questo campo, è quasi triplicato dal 2014 al 2015, raggiungendo gli 8 247 087 068 di euro rispetto ai 2 884 007 752 del 2014. L’export italiano è aumentato di ben il 48% nel quinquennio 2011-2015. L’Italia, oltre le armi leggere, esporta soprattutto aerei, navi da guerra, missili, bombe. 
Un export al servizio del quale si pone lo Stato dell’imperialismo italiano: prima finanziando progettazione e sviluppo e realizzazione dei prototipi, poi garantendo tramite grosse commesse il finanziamento della produzione su vasta scala, e infine fungendo da procuratore delle commesse estere.
Chi sono i clienti di queste particolari merci? 
Al primo posto e in crescita, i paesi della Nato (passati dal 55,7% al 62,6%), con la Gran Bretagna in cima alla classifica (da 306 milioni a 1,3 miliardi euro). La maggior parte delle esportazioni è verso l’Europa (29%), segue con il 23% il Medio Oriente. Asia, Nordafrica e Medio Oriente hanno acquistato complessivamente l’11,8% del totale. 
Nel 2015, nonostante il divieto della legge 185/1990, sono aumentate le vendite di armamenti ai Paesi in guerra, mercati appetitosi perché consumano velocemente questa merce.1 Il divieto può essere aggirato se con il paese in guerra l’Italia ha un accordo intergovernativo nel campo della difesa e dell’import-export dei sistemi d’arma. 
Tra i primi dieci importatori di armi italiane ci sono, come per il 2014, l’Arabia Saudita (passata da 163 milioni a 258 milioni di importazioni) (2) e gli Emirati Arabi Uniti, due paesi alla testa della coalizione araba in conflitto nel vicino Yemen. Il regime saudita da oltre due anni bombarda in modo indiscriminato città, scuole e ospedali, con i cacciabombardieri Eurofighter prodotti da un consorzio europeo a cui l’Italia partecipa tramite Finmeccanica. È continuata l’esportazione di armi anche verso gli altri paesi che partecipano a questa guerra: Bahrein, Emirati, Qatar, a cui si aggiunge il Kuwait. All’Iraq, cliente italiano solo dal 2015, sono state vendute 14 milioni di armi leggere e munizioni, marca Beretta. L’esportazione verso la Turchia è aumentata di due volte e mezzo, da 52,4 a 128,7 milioni. Sottolineiamo che il regime di Ankara, membro Nato e legato con un sostanzioso accordo alla UE per respingere i profughi, bombarda i curdi fuori e dentro i suoi confini con gli elicotteri T129 costruiti su licenza Finmeccanica. 
Nonostante l’embargo post-Ucraina, la Russia continua a ricevere i blindati Lince di Fiat-Iveco (da 4 a 25 milioni). 
Buoni rapporti sono mantenuti anche con l’Egitto, che passa da 31,7 a 37,6 milioni nel 2015, alla faccia delle violenze del regime di al-Sisi. L’Italia risulta l’unico Paese della UE ad aver fornito nel biennio 2014-15 sia “pistole e revolver” che “fucili e carabine” alle forze di polizia di Al Sisi. Il governo Renzi ha autorizzato nel 2014 la spedizione in Egitto di più di 30mila pistole e nel 2015 la fornitura di 3.661 fucili; il valore complessivo degli armamenti venduti è passato da 31,7 a 37,6 milioni nel 2015.
Le vendite di armi in Africa, un mercato ancora marginale per i gruppi italiani, sono aumentate da 96 milioni a oltre 241. In particolare per la prima volta negli ultimi 10 anni, l’Africa Subsahariana supera i Paesi della sponda sud del Mediterraneo nell’acquisto di armi italiane, tra cui spicca lo Zambia, il maggior produttore di rame africano, dove le tensioni tra profughi ruandesi e autoctoni vengono alimentate ad arte come sfogo al malcontento della popolazione per la grave crisi economica in atto.
I gruppi degli armamenti italiani hanno aumentato (da 16 a 120 milioni) la vendita di armi al Pakistan dove continua la guerra con talebani, indipendentisti baluci; ma aumentano le vendite anche all’India (da 57 a 85 milioni) anch’essa in perenne conflitto, e nonostante la lunga crisi dei marò e la guerra contro la ribellione contadina naxalita.
Le sole licenze di esportazione definitiva hanno raggiunto i 7.882.567.504 di euro, rispetto ai 2.650.898.056 (+197,4%) del 2014. L’anno scorso, le autorizzazioni definitive sono state 2.775 contro le 1.879 del 2014 (+ 47,7%). (3)


NOTE:
1. Compresi i gettiti da intermediazione e le licenze globali di programma; al netto di questi il valore è stato di 7 882 567 504 di euro, rispetto ai 2 650 898 056 (+197,4 per cento) del 2014.
2. Nel solo 2015 Riad ha speso complessivamente 87 miliardi per armamenti e operazioni militari, soprattutto nel tentativo di contenere l’ascesa politico-militare iraniana e la sfida turca nella regione.
3. Rapporto 18 aprile 2016 della Presidenza del Consiglio.







Pubblicato su: 2017-04-11 (680 letture)

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