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N°3 Pagine Marxiste - Giugno 2004
Ribolla, cinquant'anni dopo
Capitoli di storia militante


Alle 8.40 del 4 maggio 1954, nella miniera di Ribolla, piccolo centro della Maremma toscana, un'esplosione di grisou provocò la morte di quarantatré minatori. Fu la più grave sciagura mineraria in Italia dal dopoguerra.
Gli impianti di Ribolla, di proprietà della Società Montecatini, occupavano millequattrocento minatori divisi in squadre su più turni, che lavoravano all'estrazione di lignite picea, combustibile relativamente povero, ma che in quegli anni "tirava".
I minatori di Ribolla erano combattivi e sindacalizzati, in più occasioni avevano scioperato ed occupato i pozzi; la Società aveva risposto con intimidazioni, repressione disciplinare, licenziamenti.
In quegli anni, nelle miniere italiane le condizioni di lavoro subivano un costante peggioramento. Secondo quanto allora denunciato dalla CGIL, dal 1948 al 1953, a fronte di un numero costante di infortuni annuali (circa 11mila), il numero di quelli mortali era in continuo aumento a causa dell'intensificazione dei ritmi di sfruttamento della forza lavoro e dei tagli alle spese per la sicurezza degli impianti.
Nei primi mesi del 1952 la direzione della miniera di Ribolla, nonostante le proteste dei minatori, cambiò il sistema di coltivazione: si passò da quello "a ripiena" (riempimento dei vuoti con terra riportata) a quello "a franamento" con lavorazione a fondo cieco (chiusura dei vuoti alle estremità per il successivo riempimento con i cedimenti della volta). Quest'ultimo sistema provocava la diminuzione ed il peggioramento della ventilazione nei cunicoli (spesso si trattava di aria di riflusso), favoriva l'accumulo di grisou e polveri di carbone, aumentando il rischio di autocombustioni ed esplosioni. Venne attuato perché permetteva di impiegare un numero inferiore di addetti, oltre che a risparmiare materiale.
Tutto ciò, dopo l'esplosione, costituì la principale accusa verso i dirigenti della miniera, che vennero rinviati a giudizio.
L'eco della tragedia fu enorme, non solo in Italia.
Le voci della sinistra comunista si differenziarono dal clima di commozione generale con una vigorosa denuncia politica.
"Battaglia Comunista" previde scenari poi puntualmente verificatisi:
"L'eco fragorosa dello scoppio si spegne molto rapidamente come altrettanto rapidamente il silenzio ovattato e progressivo della stampa [..] soffocherà le cause e gli effetti della "disgrazia". L'elemosina di una inadeguata pensione, l'assunzione di famigliari per sostituire i morti, il tempo e la rassegnata apatia di gente abituata ai lutti e assillata dalla diuturna lotta per la vita, provvederanno a soffocare, nelle famiglie colpite, il dolore e il risentimento.
Per la furfantesca società comunemente definita "classe dirigente" l'episodio è chiuso con il cumulo di parole trasudanti pietà a fior di pelle e qualche precedente allusione alle responsabilità; in quanto all'inchiesta, strombazzata ai quattro venti dallo "onorevole socialista ministro del lavoro" [Vigorelli, n.d.r.], se inchiesta vi sarà non approderà a nulla o passerà sotto silenzio. Tanto da che esiste capitale e lavoro, i grandi dividendi hanno sempre grondato sudore e sangue.1 [..]

Quattro anni e mezzo dopo, in occasione del processo svoltosi a Verona che vedeva imputati quattro dirigenti della miniera, "Azione Comunista" scrisse:
"A Verona la Montecatini [..] ha mandato schiere di tecnici e di stenodattilografe. "L'Unità" manda solo il più sprovveduto fra i suoi cronisti, un povero ragazzetto che non ha mai visto una miniera nemmeno al cinematografo, e confonde il grisou col pibigas. Per la Montecatini la posta in gioco è grossa: una condanna ai suoi funzionari, una condanna a Rostan, a Padroni, a Marcon, a Baseggio, sarebbe implicita condanna anche ai metodi di conduzione della miniera di Ribolla. La Montecatini quindi spende, per stornare dal suo capo la condanna, quanto sarebbe bastato, allora ad ammodernare la miniera, a installarvi un sistema di ventilazione sufficiente, ad evitare, insomma, il delittuoso disastro di quattro anni e mezzo or sono. [..] Non fu una sciagura casuale: la responsabilità di chi conduceva la miniera è ampiamente dimostrata. Ventilazione insufficiente, contraria alle regole della polizia mineraria; lavorazione a fondo cieco e franamento del tetto, sconsigliata da tutte le autorità competenti in materia, in ogni caso e soprattutto per Ribolla; inversione del giro d'aria, ed interruzione di esso per ben tre giorni, ciò che il regolamento di polizia mineraria vieta espressamente; contatto diretto fra l'aria di afflusso e quella di riflusso, che è la condizione ideale per provocare il propagarsi delle deflagrazioni di grisou. [..]
Oggi a Verona non c'è nessuno che rappresenti loro, i morti. In termini giuridici: non esiste parte civile. In quattro anni e mezzo la Montecatini ha avuto il tempo di tacitare quarantatré famiglie, una dopo l'altra: una sovvenzione, la promessa di un posto al figlio disoccupato, una misera pensioncina, il gioco è fatto. Quarantatré famiglie sono rimaste sole, inermi, di fronte al gigante, al monopolio milanese. Chi le ha sorrette? Chi si è schierato dalla loro parte, perché resistessero, prima al dolore, poi all'adescamento padronale? Nessuno. I burocrati del partito e dei sindacati devono aver fatto un conto più turpe di quello che ha fatto la Montecatini: hanno calcolato che non valeva la pena di rischiare fondi, tempo, attività, per sostenere la madre di Calabrò, il figlio di Femia, la moglie di Ferioli, tutti i parenti dei quarantatré morti di Ribolla. Non valeva la pena: una simile azione non poteva rendere molto, tradotta in voti. Ed hanno lasciato correre. Tradiscono la memoria di quarantatré uomini, lavoratori, compagni. Tradiscono la dignità umana di quelli che sono restati. A Verona, sul banco degli accusati, c'è un posto simbolico anche per loro".
2
Per la giustizia borghese la tragedia non ebbe colpevoli. I dirigenti della Montecatini vennero tutti assolti. L'anno dopo la miniera di Ribolla cessava ogni attività.
Sono trascorsi cinquant'anni, i minatori continuano a morire nelle Ribolla del terzo millennio, che si trovano nei Balcani, in Cina o nel Kuzbass.
Da noi, cinquant'anni dopo, le dinamiche non sono mutate. Ieri era il grisou a provocare le morti senza dirigenti colpevoli, oggi sono l'amianto e il PCB. Nel 2003, gli incidenti sul lavoro in Italia sono stati più di 950.000, con 1.311 morti bianche.3 Una strage, dai cantieri ai binari.
Oggi come ieri, le aziende sanzionano ed intimidiscono i lavoratori che lottano per la sicurezza.
Oggi come ieri, i lavoratori continuano a pagare un prezzo altissimo alla società del profitto.



Note:



1. Oscar, A Ribolla, "Battaglia Comunista" n° 4, giugno 1954.

2. M. Biancavilla, A Ribolla 43 minatori morirono, "Azione Comunista" n°40, 15 novembre 1958.

3. Fonte: IX Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro a cura dell'OIL.




A.P.

Pubblicato su: 2005-03-30 (1811 letture)

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