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N°23 Pagine Marxiste - dicembre 2009
GENESI DI UN MASSACRO (1^PARTE)
Settant’anni fa iniziava la seconda guerra mondiale imperialista



Il 1° settembre 1939 la Germania nazista attacca la Polonia. E’ il “via” al nuovo massacro imperialista, dopo appena un ventennio dalla fine di quello del 1914-18. Riannodiamo i fili dei “perché” di questo nuovo scontro imperialista, per metterne in luce gli interessi, le dinamiche, le strategie. Per imparare a capire che anche il “multipolarismo” delle potenze è tutto fuorché “garanzia di pace”.
 
Vista da un’ampia prospettiva storica, si potrebbe parlare di un’unica guerra imperialista mondiale, con in mezzo un periodo d’interludio e di preparazione.
La guerra scoppiata nel ’39 eredita tutte le questioni sancite dalla pace di Versailles del ’19, potenziate dall’esplosività della crisi mondiale capitalistica del ’29.
 
La cultura dominante, cioè quella delle potenze uscite vittoriose nel ’45, ha nei fatti imposto l’ideologia secondo cui, a differenza della prima guerra mondiale, riconosciuta ormai da molti come “guerra di spartizione”, la seconda guerra mondiale sarebbe stata invece uno scontro planetario per l’affermazione della “democrazia” contro il “totalitarismo”; appoggiandosi solo occasionalmente all’URSS stalinista …
Non è vero, e lo dimostreremo mettendo a nudo l’esistenza della stessa logica di spartizione di vent’anni prima, per di più amplificata da un accresciuto potenziale bellico e dall’ingresso, questo sì “totale”, di tutte le aree “vitali” nel contenzioso politico-diplomatico-militare.
 
Le rivalse di quelle che ANDREAS HILLGRUBER chiama potenze “HAVES NOT”, e cioè Germania-Giappone-Italia, s’intrecciano certamente, a cavallo tra gli anni ’20 e ’30, con la Grande Crisi. Ma non è il ciclo capitalistico che, da solo, può spiegare lo scatenamento della guerra nel ’39 … altrimenti non si capirebbe perché, nel ’14, si giunga ugualmente ad un conflitto mondiale nonostante il precedente trentennio di crescita praticamente ininterrotta (quello della “Bella Epoque”).
In questo periodo gli scambi mondiali sono relativamente liberi e basati su un tasso stabile di cambio tra le valute, ancorato a sua volta sul sistema monetario aureo: il GOLD STANDARD, in cui la Gran Bretagna fa la parte del leone.
La Grande Guerra capovolge tutto: mentre l’Europa si scanna, gli USA ed il Giappone rilevano i mercati d’esportazione del Vecchio Continente.
Accantoniamo dunque lo schema meccanicista CRISI DI SOVRAPPRODUZIONE/GUERRA che troppo spesso ha obnubilato i pensieri di una certa scolastica marxista, prendiamo atto che, per il ’14-’18, non la sovrapproduzione ma i cinque “contrassegni” de “L’Imperialismo” di LENIN ci rendono ragione della guerra. Accompagnati da uno “sviluppo ineguale” che rende ancor più squilibrati i rapporti tra vecchie e nuove potenze.
 
Sarà il cambio di leadership imperialistiche che accumulando, ora sì, sovrapproduzione negli anni ’20, sfocerà nella crisi finanziaria di WALL STREET e farà corto-circuito, intrecciandosi con relazioni internazionali fluttuanti e protezioniste e con una Società delle Nazioni (un’ONU ante-litteram) gestita da due potenze (GB e FR) in chiaro declino.
Dopo la fine della guerra, nel ’18 :
“I paesi extra-europei, in crisi per la carenza di merci e di finanziamenti prima forniti dall’Europa, si lanciarono nella creazione di proprie industrie, a spese dei vecchi fornitori. Alla fine della guerra, quando l’industria europea riprese a funzionare, si manifestò una tendenza alla sovrapproduzione che portò ad un crollo dei prezzi e a una corsa all’istituzione di barriere tariffarie per proteggere le industrie domestiche in difficoltà….” (RICHARD OVERY : “Crisi tra le due guerre mondiali” U.P. Il Mulino 2009).
 
Il declino degli introiti provenienti dal commercio estero di inglesi e francesi, tra l’altro fortemente indebitati con l’imperialismo USA per i prestiti di guerra, priva l’economia mondiale di un’importante fonte di finanziamenti.
La Grande Guerra distrugge il GOLD STANDARD … “Gli Stati belligeranti abbandonano l’oro perché costretti a finanziare lo sforzo bellico con prestiti e deficit statali enormi, o ricorrendo pesantemente al prestito dall’estero.” (R. OVERY op. cit.)
L’inflazione sale vorticosamente, soprattutto nell’Europa Centrale, in preda al caos monetario.
Sono gli USA che, usciti praticamente rinforzati dalla guerra, con la loro ripresa poderosa attuano forti iniezioni di capitali, soprattutto in Germania, e permettono al Vecchio Continente di agganciarsi alla ripresa post-bellica, pur dentro una riconversione produttiva ed un caos politico e finanziario che fa gioco all’imperialismo statunitense.
Nel ’24, il Piano DAWES elargisce un prestito di 800 milioni di marchi-oro alla Germania, duramente penalizzata da Versailles. La sovrapproduzione USA trova sbocchi e, in contemporanea, Washington, impedendo il dissanguamento della Germania, impedisce il predominio anglo-francese in Europa. Col Piano DAWES, seguìto nel’29 dal Piano YOUNG, la Germania, rateizzando e, infine, riducendo le riparazioni di guerra, potrà gettare le basi della sua ripresa come potenza nel cuore del continente.
 
Gli USA, consci di dover affrontare a breve termine l’espansionismo giapponese in Asia, tengono sì sotto controllo l’Europa, ma a distanza, con una linea politicamente isolazionista.
Essi elargiscono, tra il ’24 ed il ’29, ben 6400 miliardi di dollari di prestiti all’economia mondiale, ma sono prestiti a breve termine, da parte di un sistema che, a differenza di quello inglese, è autonomo sui prodotti alimentari e materie prime, ha meno bisogno d’importare, è meno dipendente dalle esportazioni per pagare i prodotti esteri.
Il connubio organico tra capitale e Stato, analizzato magistralmente (seppur in maniera non dialettica) da BUCHARIN, intrecciato col frazionamento statale dell’Europa (= nuove barriere doganali, ostacoli agli scambi), ed al prevalere delle tendenze isolazioniste americane, fa a pezzi il progetto del presidente USA WILSON di una “cooperazione mondiale”, basata sull’allargamento degli scambi in cui Washington avrebbe preso il posto di Londra puntando sul liberismo economico e sul bilanciamento tra Stati.
 
Nel novembre del ’22 le elezioni presidenziali negli USA portano alla vittoria WARREN G. HARDING, sostenitore della difesa del mercato interno con alte tariffe doganali, di una politica di freno all’immigrazione e di abbandono     dell’Europa a sé stessa. Il tutto mantenendo ovviamente la convinzione “liberista” a senso unico in ordine all’export americano.
Questa linea avrà come continuatori Calvin Coolidge e poi Herbert Hoover, il presidente dell’“illimitato ottimismo” sprofondato poi nella Grande Crisi.
 
La locomotiva mondiale, gli USA, deve fare i conti con un’Europa profondamente lacerata da Versailles e dal crollo degli imperi: quello germanico, asburgico e zarista. Per non parlare delle tensioni che si stanno accumulando in Medio Oriente ed in Asia Minore in conseguenza del crollo dell’Impero Ottomano …Sette nuovi Stati nascono nei Balcani e nell’Europa Centrale. Le riparazioni tedesche ammontano a 132 miliardi di marchi-oro, da pagarsi entro il … 1988! Per non parlare poi delle amputazioni territoriali (l’Alsazia-Lorena, la Ruhr, Danzica … ). L’Ungheria ha perso il 75% del suo territorio; la Bulgaria viene amputata a favore della Jugoslavia e della Grecia; l’Austria diventa un modesto staterello risucchiato nei suoi confini da Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e Italia (parte del Sud Tirolo). Francia e GB, i “vincitori”, cessano di avere un ruolo propulsivo nell’economia e nella politica internazionali. Sono concorrenti(anche se entrambe anti-tedesche), nessuno dei due ha la forza di guidare una coalizione europea, hanno entrambe sulla gobba imperi che ormai non controllano più.
La Germania, già nel ’24, ritorna a primeggiare in Europa come potenza industriale, ma è uno sviluppo “drogato” dai continui prestiti esteri e quando questi, nel ’28, cominciano a calare, cresce la disoccupazione, in un clima politico interno molti instabile (la repubblica di Weimar) e dentro un crescendo di tensioni sociali.
 
La crisi del ’29 segue ad un periodo di forte espansione della produzione, tale da portare gli USA ad una sovrapproduzione, chiusa però da un protezionismo esterno che ha ormai preso piede in Europa e dalla scarsa ricettività capitalistica dell’Asia, per non parlare dell’Africa.
 
Nota M. Salvatori come emerga un altro importante aspetto della crisi:
“La crescente prosperità negli anni immediatamente precedenti il crollo aveva generato una feticistica fiducia nelle azioni industriali, il cui prezzo era cresciuto in modo astronomico e senza alcuna rispondenza con il loro valore reale. Gli speculatori, poggiando su un’eccedenza di capitali alla ricerca di investimenti e sulla volontà di collocarli ad ogni costo, alimentavano in modo fittizio la fiducia …” (M.L. Salvatori: “Storia dell’età contemporanea” - Loescher ed. ’76).
 
Valerio Castronovo vede nella politica inflazionista americana e nel consistente avanzo della bilancia commerciale le premesse dell’intenso e caotico sviluppo americano degli anni ’20 (V. Castronovo: “Storia dei fatti economici” suppl. a “Il Mondo” del 15/5/81).
Sul piano internazionale, la questione della stabilizzazione monetaria e quella del regolamento dei debiti di guerra, provocando tensione tra gli Stati, scaricano uno su l’altro l’onere delle bilance dei pagamenti, imponendosi vicendevolmente politiche deflazionistiche.
Si arriva così al collasso di WALL STREET: il 29/10/29 la Borsa di NEW YORK vende depositi ed azioni a qualsiasi prezzo. Alla fine della giornata 16 milioni di azioni hanno cambiato mano a prezzi fallimentari. L’indice DOW JONES dei prezzi dei titoli industriali passa da quota 381 del 3 settembre ’29 a quota 198 nel novembre … Quando questa caduta s’interromperà, nel luglio del ’33, 74 miliardi di dollari sarebbero stati prosciugati e le azioni scese al 15% appena dall’inizio della crisi. Nel ’32 la produzione industriale è esattamente la metà rispetto al ’29! Sono fallite circa 6000 banche. Il reddito agricolo è calato del 50%, i salari industriali del 45% …. Il commercio mondiale scende del       70%, mentre la disoccupazione mondiale, nel ’32, raggiunge i 40 milioni di unità, così distribuite: 13 milioni negli USA, 5 in Germania, 3 in GB, 700.000 circa in Francia ed in Italia. I prezzi agricoli, sempre nel periodo della crisi, aumentano del 50%, quelli industriali del 33%.
 
S’impenna il protezionismo di ciascun paese, collegato a varie forme e gradazioni del Capitalismo di Stato. Il capitalismo monopolistico entra in una nuova fase di sviluppo; cartelli e trusts controllano ancor di più le economie nazionali legati a doppio filo con lo Stato, che investe in opere pubbliche ma soprattutto in armamenti, imponendo anche alti dazi doganali. L’inflazione è combattuta con una forte compressione salariale, col controllo del credito alle imprese, elargendo qualche sussidio in cambio della pace sociale.
Politiche che alla fine s’impongono, perché negli anni ’20 il movimento rivoluzionario è stato stroncato in tutte le cittadelle dell’imperialismo mondiale, ed anche in Cina. D’altro canto la Russia stalinista non è più il punto di riferimento del comunismo, ma un Capitalismo di Stato inedito che sta riproponendosi potenza tra le potenze.
 
In Germania, nel ’31, si deve ricorrere al salvataggio pubblico dell’intero sistema bancario. La GB rinuncia definitivamente alla convertibilità in oro della sua moneta. La corsa al protezionismo si scatena in Europa. La GB nel novembre del ’31 impone dazi del 50% su un ventaglio di 23 diverse categorie di merci importate … la vecchia corsara del liberismo !!!
La disoccupazione colpisce anche i “colletti bianchi” e soprattutto i giovani: tra i lavoratori tedeschi 1/4 dei disoccupati ha meno di 25 anni ed i 2/3 degli occupati lavorano ad orario ridotto …
La diffusione dello statalismo porta lo Stato tedesco al possesso diretto di 500 grandi aziende. In Italia nasce l’IRI, che controlla l’80% della cantieristica navale, il 77% dell’industria siderurgica, ed il 50% della produzione di armi.
Si sviluppano pure il protezionismo sul commercio ed i controlli sulla moneta, ognuno nelle proprie aree d’influenza: GB e Francia coi paesi dei loro imperi, gli USA con l’America Latina, mentre Germania e Giappone cercano di istituire nuovi blocchi economici rispettivamente nell’Europa dell’Est e nella parte orientale dell’Asia. L’autarchia che ne deriva spinge alla produzione di petrolio sintetico, di gomma sintetica, di tessuti artificiali …
Per la Germania “… mancando i crediti, restringendosi le possibilità di assorbimento dei mercati esteri e quindi le export indispensabili a pagare le import, la splendida macchina industriale tedesca s’inceppò …” ( M. L. SALVATORI op. cit.). Con la Grande Crisi inizia peraltro, dice M.A. Bernstein (“Storia dell’economia mondiale” – Laterza ’99) “… lo spostamento del baricentro produttivo verso il Pacifico e verso l’area del continente asiatico.”
 
In Germania sarà il nazismo a guidare centralizzazione del capitale e riarmo a ritmi sostenuti. Su questa forma politica dell’imperialismo, parente del fascismo italiano, si è prodotta una sterminata letteratura storica e di ogni altro tipo. Occorre richiamarne innanzitutto i connotati di una rivincita, feroce e veloce, di un imperialismo calpestato ed umiliato a Versailles, in lotta contro il tempo …
Meno fanaticamente renvascista e razzista, meno ideologicamente e politicamente “totalitario”, ma non meno imperialista sarà la democrazia statunitense, che sotto il “NEW DEAL” del presidente Franklin Delano Roosvelt (1882-1945) porterà gli USA fuori dalla crisi e facendone dominatori della futura nuova spartizione del mondo.
L’economista inglese John Maynard Keynes teorizza negli anni ’30 che la crisi sia dovuta ad una insufficiente capacità di consumo delle masse. Sostiene che contro la sovrapproduzione occorra aumentare i salari, ma sopratutto la “massa salariale”. Che ci vogliono investimenti produttivi e non speculativi, e bassi tassi d’interesse per stimolare il credito alle imprese, e tasse progressive per regolare il mercato sostenere l’occupazione con grandi opere pubbliche.
Sarà su queste linee direttrici che si muoverà la politica di Roosvelt (eletto nel ’32 e poi rieletto nel ’36. Lo Stato federale USA si farà mediatore dei grandi gruppi economici, inaugurerà una politica di tassazione dei “super-ricchi”, di assistenza sociale e di … “libertà sindacale” (purché patriottica …).
Ma 1) i Trusts diventano sempre più potenti (nel ’38 il 4% delle imprese controlla l’87% dei capitali ); 2) gli investimenti “produttivi” diventano esponenzialmente investimenti militari; così prolifici da poter rifornire, durante la guerra, oltre ai propri arsenali, pure quelli di GB e URSS. Ma nel ’37 ci sono ancora negli USA 7 milioni di disoccupati e “… di fatto l’economia americana riuscì a risollevarsi completamente con il riarmo e la preparazione alla guerra: nel ’41 i disoccupati ammontavano ancora a milioni e fu soltanto nel ’43 che scomparve l’esercito dei senza-lavoro” (V. Castronovo op. cit.).
IL CAPITALISMO SI PREPARA AD USCIRE DALLA CRISI CON UNA IMMANE DISTRUZIONE DI UOMINI E DI FORZE PRODUTTIVE.
Vedremo in seguito con quale dinamica di potenze e di conseguenze nella politica mondiale.
 Per ora ci basta ricordare, oltre al “NEW DEAL”, altri due grossi avvenimenti che, all’inizio degli anni ’30, segnano il futuro delle due grandi potenze “HAVES-NOT”: il Giappone e la Germania. E, con esse il futuro degli assetti mondiali.
 
Dalla Grande Guerra il Giappone era emerso come potenza in grado di proiettarsi sul continente asiatico e di insidiare in prima persona gli USA. Su iniziativa di questi si riunisce a Washington, nel novembre del ’21, una trilaterale che fissa il rapporto tra le flotte di USA-GB-Giappone in proporzione di 5: 5: 3. Tutti i contraenti s’impegnano tra l’altro a non violare il territorio e l’indipendenza della Cina. E’ un patto che chiaramente “blocca” il Giappone nelle sue mire espansioniste.
La forza industriale giapponese si era molto accresciuta, con un dominio pressoché assoluto degli ZAIBATSU, grosse concentrazioni monopolistiche che vedono primeggiare gruppi come Mitsui e Mitsubishi …, ma nel dopoguerra essa vede contendersi l’attacco ai mercati asiatici dalla riapparsa della concorrenza europea ed americana. Viene così individuato dalla classe dirigente nipponica la necessità di occupare il proprio “spazio vitale” partendo proprio dalla Cina, per creare un Impero in grado di risolvere la sua cronica insufficienza di sbocchi e materie prime.
Si forma un blocco industrial-militare che, rompendo gli indugi, “ribalta” i patti navali cogli anglo-americani invadendo la MANCIURIA (1931). In seguito alla reazione della Cina, la guerra si estende in tutta la regione di SHANGAI. Quando la Società delle Nazioni (S.d.N.) condanna l’azione giapponese, Tokio ne esce (marzo ’33). Un anno dopo avviene la disdetta degli accordi navali con   USA-GB, l’esproprio dei loro beni nel MANCHUKUO e la ripresa dichiarata del riarmo, senza limite alcuno.
Ci si prepara insomma al regolamento dei conti sul Pacifico.
 
In Germania, nel gennaio del ’33, il presidente, maresciallo Hindenburg, eletto un anno prima anche coi voti dei socialdemocratici, nomina Adolf Hitler, capo del partito nazista, Cancelliere del Reich, con l’appoggio dichiarato di banche, industrie ed esercito. Si instaura da subito, nonostante un primo governo di coalizione, la dittatura aperta del capitale, liquidando ogni opposizione. Tutto questo serve alla borghesia tedesca per raccogliere le forze per prendersi la grande rivincita su Versailles.
Allorché, nell’autunno del ’33, riprende la Conferenza europea sul disarmo, i tedeschi chiedono esplicitamente il loro diritto di rompere la loro minorità militare (cosa nei fatti già iniziata,seppur in sordina, negli anni ’20 …). La Francia si oppone, ed Hitler, per ritorsione, fa ritirare la Germania dalla Conferenza ed in seguito dalla stessa S.D.N. (19/10/33).
Il 25/7/34 i nazisti, uccidendo il Cancelliere austriaco DOLFUSS, tentano un colpo di Stato a Vienna, che fallisce. L’Italia, non ancora legata organicamente all’imperialismo tedesco, si schiera a fianco dell’Austria, concentrando le sue truppe ai confini del Brennero.
Il 13/1/’35, la SAAR, territorio tolto alla Germania e configurato per un quindicennio a statuto internazionale, vota con un plebiscito (al 90%) la sua riammissione al Reich. Berlino reintroduce la coscrizione militare obbligatoria. Nonostante il “fronte di STRESA” (GB-Francia-Italia) che condanna, senza riuscire ad attuare nessuna misura contraria, il riarmo nazista, Hitler spazza via Versailles e dà il colpo di grazia alla S.d.N. La sepoltura sarà opera di Mussolini con l’attacco, sempre nel ’35, all’Etiopia; mentre la Germania arriva a definire con la GB che sua flotta potrà arrivare al 35% del potenziale inglese (giugno ’35).
IL NAZISMO E’ LA CARTA CHE L’IMPERIALISMO TEDESCO GIOCA PER INSINUARSI DENTRO LE DEBOLEZZE ANGLO-FRANCESI ED IMPORSI COME POTENZA EGEMONE IN EUROPA, METTENDO L’IMPERIALISMO USA DI FRONTE AL “FATTO COMPIUTO” DI UN IMPERO TEDESCO PROIETTATO VERSO L’EUROPA ORIENTALE E L’ASIA CENTRALE.
INIZIA UNA LOTTA CONTRO IL TEMPO CHE ESPLODERA’ DA LI’ A QUALCHE ANNO.







Graziano Giusti

Pubblicato su: 2010-02-26 (1507 letture)

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