Moduli
· Home
· Abbonati al giornale
· Archivio
· insiemecontroilrazzismo
· Volantini

Chi è Online
In questo momento ci sono, 0 Visitatori(e) e 0 Utenti(e) nel sito.

Languages


English French Italian

N°23 Pagine Marxiste - dicembre 2009
Per i lavoratori la crisi continua
Editoriale



La fase di caduta della produzione mondiale è terminata, soprattutto per la dinamica sostenuta dei giganti asiatici Cina e India, la cui forte accumulazione interna ha resistito al vortice della crisi delle metropoli. Ciò accelera la modifica dei rapporti di forza tra le potenze, e le tensioni per le sfere di influenza e il controllo delle materie prime, con una prospettiva di crescente ricorso alla guerra. Anche in Italia e in Europa si intensificano le campagne patriottiche e belliciste cui va contrapposta la voce dell’internazionalismo proletario.
I massicci interventi pubblici hanno finora evitato fallimenti a catena delle grandi banche, e un avvitamento verso il basso tipo anni ’30. Il conto delle somme che sono state elargite in questi mesi ai banchieri verrà fatto pagare domani ai lavoratori. La produzione è in ripresa, ma passeranno anni prima che nelle metropoli raggiunga i livelli precedenti la crisi. I profitti si stanno riprendendo più rapidamente, grazie ai forti tagli occupazionali soprattutto nell’industria. Già le Borse hanno festeggiato lo scampato pericolo, danzando inebriate verso nuovi precipizi.
I lavoratori pagano il conto con l’intensificazione dello sfruttamento per chi rimane al lavoro, e con milioni di disoccupati in più e altri milioni che vivono sotto la minaccia del licenziamento o dell’esaurimento degli ammortizzatori sociali coi quali sono finora sopravvissuti. Gran parte dei proletari immigrati e i lavoratori atipici devono sopravvivere senza protezioni sociali, mentre le nuove generazioni restano in gran numero fuori ad aspettare.
Le lotte del proletariato nella crisi devono fare i conti con: la lunghezza della crisi stessa, la sua intensità, la debolezza del movimento operaio, l’intrecciarsi del forte calo occupazionale con l’aumento esponenziale del debito pubblico.
A un anno dall’esplosione della crisi abbiamo avuto reazioni operaie anche di una certa forza, con forme di lotta certamente più visibili ed eclatanti, ma pur sempre dentro un quadro segmentato, con qualche timido e sporadico tentativo di collegamento autorganizzato.
Certo, ora almeno questo problema si pone. Non è più l’agitazione di una parola d’ordine velleitaria, ma proponimento concreto di gruppi di lavoratori di fabbriche medio-grandi. La base di adesione è però ancora troppo ristretta ed è sempre dietro l’angolo il rischio di risucchi localistici e/o parlamentari. Del resto è impensabile riuscire in qualche mese a risalire la china di decenni di devastazione sociale, politica e ideologica condotti da borghesia e socialimperialismo. Ma la strada di ripartire dal basso, dalla realtà concreta della classe, dalle esperienze di lotta, è una strada obbligata se vogliamo dare un senso al nostro essere comunisti.
Anche se la crisi è lunga e i suoi effetti sulla classe sono appena agli inizi, sarebbe sbagliato scaldarsi al fuocherello della crisi “che lavora per noi”.
Se ciò è vero nel senso storico più ampio, non lo è affatto nei tempi tattici e strategici dell’oggi e del domani. Anzi, la crisi capitalistica, lasciata marcire dall’inazione e dall’immaturità della classe, potrebbe rovesciarsi in disastri xenofobi, nazionalisti e bellicisti.
I lavoratori, se a breve non dovessero riuscire al alzare il livello dello scontro sociale e politico, potrebbero passare dal salasso occupazionale attuale ad un nuovo attacco concentrico che vedrebbe nel mirino pensioni-sanità-scuola, in omaggio ai reiterati “risanamenti pubblici”.
Il debito pubblico italiano (dati OCSE) è stimato al 115% del PIL a fine anno, e al 120% a fine 2011. Il rapporto deficit/PIL si attesta al 5,5% nel 2009 e sarebbe ancora del 5% nel 2011. Da quella data, a detta di banchieri e industriali, dovranno essere svolti interventi governativi per riportare il deficit nei limiti del patto di stabilità UE (3%).
Dopo aver avuto un assaggio di siffatte politiche negli anni ’90 (dietro la mano pelosa dei “governi amici”) in nome dell’Europa e del Trattato di Maasticht, potremmo cadere di nuovo nella brace dei tagli da risanamento da “rientro dalla crisi”. Con una novità: l’avvenuta demolizione del mercato del lavoro “normato”, ormai popolato da un nucleo ristretto di “garantiti” dentro un mare di precariato.
Non c’è tempo da perdere.Le energie sane di classe si uniscano e operino per collegare e generalizzare le lotte!







Pubblicato su: 2010-01-11 (1547 letture)

[ Indietro ]

 


You can syndicate our news using the file backend.php

   Get Firefox!