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N°19 Pagine Marxiste - Gennaio-Marzo 2008
LA LOTTA DI BELLINZONA



Dopo 90 anni di pace sociale nelle ferrovie svizzere, il 7 marzo i 400 operai delle Officine Ferroviarie di Bellinzona sono scesi in sciopero occupando gli impianti; la protesta è partita dopo l’annuncio, da parte di FFS Cargo, di trasferire 126 operai e parte del lavoro all’Officina di Yverdon, premessa al successivo, definitivo smantellamento dell’impianto (che è in attivo economico). In pochissimi giorni le Officine di Bellinzona sono diventate il simbolo delle resistenza alla ristrutturazione liberista che sta investendo le ferrovie europee.
Nell’ultimo quindicennio nel Canton Ticino la manodopera di Swisscom, Posta e FFS è stata ridotta di oltre 2mila unità (1 posto di lavoro su 3). Contro la chiusura delle Officine si è mobilitato l’intero Cantone; l’intervento a forte caratterizzazione localista di istituzioni e realtà municipali (una risposta del Cantone contro Berna) non ha impedito il prevalere di una forte connotazione di classe nella vertenza. La straordinaria prova di solidarietà verso gli operai in sciopero, con manifestazioni di piazza cui hanno partecipato oltre 10mila persone, ne ha impedito l’isolamento, mentre la raccolta dei fondi per la cassa di resistenza arrivava a coprire un’eventuale prosecuzione della lotta per almeno altri due mesi.
Gli scioperanti, organizzati nel sindacato UN1A, rivendicavano il mantenimento della riparazione locomotive, l’applicazione del contratto FFS Cargo a tutti i lavoratori attivi nello stabilimento e la riduzione del ricorso al lavoro interinale.
Lo sciopero delle Officine ha catalizzato l’attenzione della Confederazione, tutt’altro che abituata allo scontro di classe; la storia delle lotte dei ferrovieri, in particolare, registra due capitoli significativi che risalgono al secolo scorso. 
Il 26 aprile 1901 i delegati operai, organizzati nell’Unione Operai Ferrovieri rivendicarono la riduzione dell’orario di lavoro a 9h massime al fine di evitare esuberi e conseguenti licenziamenti. Le trattative fallirono ed alle 6 del mattino del 6 maggio partì lo sciopero cui aderirono oltre il 50% degli operai; dopo due giorni, le trattative portarono all’accordo ed alla revoca dei licenziamenti.
Nel 1918 i razionamenti dei beni di prima necessità dovuti al conflitto colpivano duramente la classe operaia. Il 18 marzo la popolazione esasperata attaccò e distrusse la Centrale del Latte. L’11 novembre, un anno dopo la Rivoluzione bolscevica, sindacato e Partito Socialista lanciarono lo sciopero generale con rivendicazioni che da sindacali divennero politiche: estensione del voto alle donne, 48h di lavoro. L’Officina ferroviaria scioperò compatta dall’11 al 13 novembre. Intervenne l’esercito, le ferrovie vennero militarizzate; il capotreno Giovanni Tamò venne arrestato per aver detto ai militari ticinesi che si recavano a Lucerna di non sparare sugli operai.
Oggi, novant’anni dopo, sono i macchinisti tedeschi (vedi numero scorso di PM) e gli operai ticinesi a dimostrarci la valenza dello sciopero come strumento di difesa; comparti dove la memoria storica della lotta di classe si perdeva nel secolo scorso, da sempre elevati dalla borghesia a simboli di armonia e pace sociale.
Ora il piano di trasferimenti dell’officina Ferroviaria di Bellinzona è stato momentaneamente sospeso; una prima, parziale vittoria, di una lotta carica di significati.







NUCLEO FERROVIERI INTERNAZIONALISTI

Pubblicato su: 2008-04-30 (1813 letture)

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