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N°19 Pagine Marxiste - Gennaio-Marzo 2008
Terremoto elettorale



Tolte le schede dalle urne, mentre il corpo sociale dell’Italia rimane quello di prima, l’Italia politica ha cambiato volto. In parlamento sono stati spazzati via tutti i piccoli partiti, tranne quelli delle minoranze linguistiche. Il nuovo governo avrà un’ampia maggioranza, che sulla carta gli permetterà di governare indisturbato. Ma contiene al proprio interno le contraddizioni tra tutte le frazioni della borghesia, grande e piccola, e le mediazioni al suo interno non saranno facili.
Il voto ha inoltre mostrato come due anni di governo Prodi abbiano mutato radicalmente gli umori politici soprattutto delle ali dell’elettorato, anche a destra ma particolarmente a sinistra.
La frana della sinistra parlamentare
La destra di Storace-Santanché ha eroso 2,4 punti ad AN, ma soprattutto ha captato oltre il 5% del voto giovanile apparente. A sinistra il 10% di elettori che avevano votato per il PRC, il PDCI, i Verdi hanno abbandonato in massa il cartellone della Sinistra Arcobaleno, che aspirava a raccoglierli tutti, insieme ai transfughi DS che dovevano seguire Mussi e Salvi. Lo zoccolo duro della sinistra è ridotto al 3%: un disastro che ha portato scoramento, rancori, recriminazioni e contrasti sul da farsi tra i dirigenti di queste formazioni, rimasti senza posto in parlamento (ma con lauta pensione). Nel complesso: su 3,9 milioni di persone che avevano votato la “sinistra radicale” nel 2006, quasi 2,8 milioni non hanno votato la Sinistra Arcobaleno quest’anno. Circa 380 mila (uno su 10) hanno votato per le componenti trotskiste del PRC che hanno presentato proprie liste. Secondo varie ricostruzioni circa un terzo dei votanti per la sinistra nel 2006 ora ha votato PD, per dare un “voto utile”. Se manca la prospettiva di un cambiamento radicale, del rovesciamento di questi rapporti sociali ciò che resta è l’illusione di poter influire attraverso i meccanismi del voto e di rappresentanze parlamentari che si muovono a stretto contatto con i centri del potere economico. Una parte minore ha votato per l’Italia dei Valori di Di Pietro, con l’idea che la corruzione sia un fenomeno individuale estirpabile dai magistrati, anziché il prodotto sociale inevitabile del capitalismo, che continuamente lo riproduce in nuove forme, come è avvenuto dopo il crollo della “prima repubblica”. Una parte non piccola della diaspora della sinistra ha saltato il fossato votando per la Lega e Forza Italia. Il ragionamento: se Rifondazione & C. hanno sostenuto il governo delle tasse e dei regali ai padroni, tanto vale votare per quei padroni che almeno mi promettono meno tasse.
 
Astensionismo record
Resta un buon 20-25% di coloro che nel 2006 avevano votato per la sinistra e ora si sono astenuti o hanno votato scheda bianca/nulla. Una scelta nella quale è difficile misurare come si combinino delusione, disillusione, disgusto per chi ha servito il governo del grande capitale, rifiuto del parlamentarismo, volontà di lotta o rinuncia, ritiro nella vita individuale, nella indifferenza politica. I delusi della sinistra rappresentano circa la metà degli 1,7 milioni che sono andati a ingrossare le fila delle astensioni e non-voto (in totale 10,5 milioni, quasi quanti i votanti del PD). Molti altri, prima di recarsi alle urne senza grande convinzione, erano stati tentati dal “basta, non voto più”. Il distacco tra la gente e il parlamentarismo ha raggiunto il suo livello massimo con il 22,5% degli elettori, quasi un quarto, ma è potenzialmente ancora più ampio. Non ci illudiamo che si siano astenuti per le stesse ragioni per cui noi l’abbiamo fatto. E sappiamo che anche tra la stragrande maggioranza degli astenuti vi è la stessa passività sociale che pervade la massa dei lavoratori. Tuttavia il numero di astensioni è un sintomo di distacco dal sistema politico e dalle istituzioni dello Stato borghese. Da ciò che ha spinto al non-voto si può partire per costruire una coscienza e un’opposizione al sistema, fatta con l’organizzazione e la lotta in prima persona e non con il voto e la delega.
 
Voto individualista
Più di tre quarti degli elettori ha però votato, e di questi quasi l’85%, 6 su 7, hanno votato per una delle due nuove formazioni sfornate nei mesi scorsi: Partito Democratico e Popolo della Libertà + Lega Nord e Sud. Il rifiuto, prima da parte di Veltroni e poi di Berlusconi, di aggregare altri partiti e partitini nella propria coalizione elettorale, in combinazione con gli sbarramenti posti dalla legge elettorale, ha determinato la sparizione dal parlamento di tutte le altre formazioni esclusa, per un soffio, l’UDC di Casini, oltre ai due maggiori partiti regionali di Val d’Aosta e Alto Adige.
Questo risultato va compreso sia nel suo significato politico-sociale che politico-istituzionale.
L’idea che il voto una volta ogni qualche anno e la rappresentanza in parlamento sia il modo in cui i “cittadini” possono influire sulla vita politica e sociale rimane radicata, nella misura in cui i lavoratori non intravedono altri modi di decidere del proprio destino, con l’organizzazione e la lotta. I giovani lavoratori in grande maggioranza non conoscono il sindacato se non come fornitore di servizi di consulenza e non sono passati per esperienze collettive di lotta. Il loro essere lavoratori non è compreso come essere membri di una classe i cui interessi e prospettive storiche sono contrapposti a quelli della classe dominante. Il loro essere precari è vissuto come la mala sorte, da cui cercare di uscire individualmente, non come la condizione legata a questa società capitalistica, cui porre argine collettivamente e come ragione per il rovesciamento di questo sistema sociale e politico. Anche quella minoranza ormai di lavoratori che è in qualche modo coinvolto nell’attività sindacale, l’ha vista troppo spesso strumentalizzata ai fini della propaganda elettorale, mentre i contratti collettivi hanno segnato continui arretramenti nelle condizioni di lavoro.
Nella vita quotidiana il lavoratore cerca di “arrivare all’ultima settimana” del mese con lo straordinario, il secondo lavoro in nero, con l’avanzamento individuale cogliendo le opportunità offerte sul mercato del lavoro e dalla formazione professionale. La classe capitalistica ha bisogno di professionalità e competenze per produzioni con tecnologie sempre più sofisticate, per l’organizzazione di processi produttivi più complessi, ed è disposta a pagarle, anche perché scarseggiano sul mercato (salvo gettarle via nelle fasi di ristrutturazione). Il premio al “merito” individuale diviene la bandiera contrapposta alla difesa collettiva degli interessi comuni, bandiera contesa tra i partiti del centro-destra e il PD. D’altra parte il PD ha lasciato cadere anche la bandierina “di sinistra” della tassazione uniforme delle rendite finanziarie per non spaventare i ceti abbienti.
A differenza che in paesi come la Germania o la Gran Bretagna, dove partiti socialdemocratici organicamente collegati con il sindacato raccolgono tradizionalmente (ma con crescente difficoltà) i voti della maggioranza degli operai, in Italia il voto operaio è sempre stato molto influenzato dalle tradizioni ideologiche locali. Anche negli anni ’60 e ’70 il PCI filorusso raccoglieva la maggioranza del voto operaio nelle zone rosse, la DC nelle zone bianche. Al di là delle ideologie, entrambi erano partiti interclassisti, come tutti i partiti parlamentari italiani. Il fatto che la maggioranza degli operai votanti in Veneto e Lombardia (zone a tradizione bianca) abbiano votato per PdL-Lega non costituisce una novità assoluta, anche se assume ora più nettamente i contenuti ideologici e sociali che abbiamo cercato di abbozzare. Dai sondaggi risulta che mediamente il PD viene più votato dagli strati impiegatizi, e nei maggiori centri urbani più che nella provincia. Gli strati più legati alla produzione diretta e al mercato sono stati maggiormente influenzati dall’individualismo e anti-burocratismo leghista e berlusconiano, che con l’anti-global Tremonti promette anche protezione contro la concorrenza cinese.
 
Voti in uscita da PD e PdL
Il PD ha perso parte dei voti 2006 dell’Ulivo (DS+Margherita) verso destra o l’astensione, voti in parte compensati dall’afflusso dalla sinistra. Se però consideriamo che ha imbarcato i radicali, che nel 2006 erano nella lista della Rosa nel Pugno nel complesso il PD ha perso quasi 400 mila voti. La lista Di Pietro-IdV ha invece raddoppiato i suoi voti (e ha più che quadruplicato in Piemonte), con un incremento di quasi 900 mila voti. Le campagne contro la corruzione e la “casta” hanno spinto a votare il giustizialismo di Di Pietro, ma anche la Lega, vista come “outsider” per la sua campagna contro “Roma ladrona”.
Nel complesso la sinistra ha perso 2,4 milioni di voti, il PD altri 400 mila; Di Pietro ne ha recuperati 900 mila: resta una perdita di 1,9 milioni di voti dall’area di centro-sinistra, che sale a 2,1 milioni se consideriamo anche le varie liste minori che nel 2006 erano in quest’area. La parte maggiore di questa emorragia è verosimilmente andata alle astensioni, bianche e nulle. Se ipotizziamo che su 1,7 milioni di nuovi non votanti 1,5 milioni vengano dall’area di centro-sinistra, resterebbero 600 mila elettori passati dall’area di centro-sinistra al centro-destra.
Di dimensioni quasi analoghe sono stati gli spostamenti nell’area del centro-destra. L’UDC di Casini ha perso un quinto dei suoi voti del 2006 (-557mila), con perdite in tutte le regioni tranne la Campania (dove ha recuperato voti dall’elettorato di Mastella e De Mita), la Basilicata e la Calabria, e riesce a restare rappresentata in parlamento. La Chiesa nel complesso non ha puntato al rafforzamento di un polo cattolico (snobbando anche la lista antiabortista di Giuliano Ferrara), e si è adeguata alla tendenza al bipartitismo, dividendosi tra i due partiti maggiori. Forza Italia + AN, riunite nel Popolo della Libertà, hanno perso 770 mila voti, se consideriamo anche le formazioni minori assorbite (DC-Nuovo PSI, Alternativa Sociale della Mussolini). Questa perdita non è uniforme: nel Nord perde 1 milione 58 mila voti, nel Centro ne perde 122 mila, nel Sud e Isole invece aumenta di 410 mila. Il PdL si sbilancia verso Sud.
 
Successo leghista
Ad avanzare nel centro-destra è soprattutto la Lega Nord, che raccoglie oltre 1,3 milioni di voti in più (+1.176 mila al Nord, più che raddoppiando nelle roccaforti del Nord Est, e + 140 mila al Centro, dove comincia ad intaccare la base elettorale del PD). Anche il Movimento per le Autonomie del siciliano Raffaele Lombardo ha ottenuto quasi 240 mila voti in più al Sud, di cui la maggioranza in Sicilia e Campania. La Destra-Fiamma Tricolore di Storace-Santanché ha ottenuto quasi 900 mila voti, cui si aggiungono i 100 mila di Forza Nuova, a fronte di 200 mila della Fiamma Tricolore del   2006. Si può supporre che la maggior parte di questi 800 mila voti siano stati sottratti ad AN. La Lega a sua volta ha attratto il grosso dei voti in uscita da Forza Italia e dall’UDC al Nord, anche se è probabile un flusso da UDC a FI, che si somma a quello da FI alla Lega. Sono stati premiati il localismo e l’attenzione agli interessi dei territori (e dei privati), l’identità della comunità locale a differenza di quella nazionale, l’esternazione di paure e insofferenze nei confronti dei nuovi immigrati, i provvedimenti restrittivi contro l’immigrazione e le ronde padane usate propagandisticamente come esempio di mobilitazione della “società civile”, insieme al federalismo fiscale delle aree a forte densità industriale e alto reddito.
 
Il Popolo dei Protetti
Nonostante il suo nome infatti il “Popolo della Libertà” è meno liberista del Partito Democratico, sia sul piano interno dove ha guidato le battaglie della piccola borghesia e del lavoro autonomo (dai tassisti agli avvocati ai farmacisti e commercialisti) contro le liberalizzazioni di Bersani, e Tremonti parla esplicitamente di salvataggi e nazionalizzazioni; sia rispetto al mercato mondiale, con la promessa di protezione contro l’import ai produttori di beni di consumo di fascia medio-bassa, che si vedono minacciati dalla concorrenza dei paesi extraeuropei a bassi salari.
Per queste ragioni i grandi gruppi industriali e soprattutto finanziari hanno appoggiato in prevalenza il Partito Democratico, che con Bersani, Padoa Schioppa e la Bonino hanno espresso una linea di liberalizzazione all’interno e di liberismo all’esterno, che avvantaggia i gruppi fortemente proiettati sui mercati esteri, i quali stanno trasferendo all’estero, anche fuori dell’Europa, quote crescenti della loro produzione e dei loro capitali. La Confindustria in più occasioni si è divisa tra grandi imprese (al vertice con Montezemolo) a favore del PD, e piccole-medie imprese per FI-Lega, insieme alle associazioni maggioritarie di commercianti e artigiani.
 
Il boomerang di Mastella
I ripetuti sforzi dei grandi gruppi e dei loro mezzi di comunicazione di prolungare la vita del governo Prodi (che avevano avuto successo contro le “spallate” di Berlusconi) sono stati frustrati dal ministro Mastella, che ha colto al balzo l’attacco di un magistrato alla moglie (e a lui stesso) per sottrarsi con la crisi di governo alla morsa di un’intesa Veltroni-Berlusconi per una legge elettorale che sbarrasse l’ingresso in parlamento ai piccoli partiti. Provocando nuove elezioni Mastella sperava di poter mantenere la rendita di posizione come formazione determinante per la formazione di una maggioranza governativa e al tempo stesso di raccogliere i voti degli strati minacciati dal riformismo liberista di Bersani. Ma la tacita intesa Veltroni-Berlusconi, con il rifiuto di imbarcare le formazioni minori che non si lasciavano assorbire (a parte IdV e Lega) e trasformava la legge elettorale esistente in quella legge fortemente maggioritaria che Mastella voleva impedire. Come spesso accade in politica, il sasso lanciato da Mastella si è rivelato un boomerang, che neanche Casini ha voluto raccogliere.
Se quindi si può affermare che, sul piano sociale, il governo Prodi è caduto per lo sgambetto dei ceti piccolo borghesi al suo interno, la centralizzazione dei due poli nel PD e nel PdL e la loro decisione di “correre da soli” con una legge elettorale che condanna i partiti minori non apparentati e privi di forte base regionale ha espulso i piccoli partiti dal parlamento, eliminando la possibilità del ripetersi di nuovi sgambetti, anche se non è del tutto esclusa la possibilità di un nuovo “ribaltone” della Lega. Resta il fatto che gli interessi piccolo borghesi, tuttora forti nella società e nell’economia, sono ampiamente rappresentati nella coalizione di governo, e si faranno valere attraverso la formazione di correnti nel PdL, come già avveniva nella DC.
 
Governismo demoralizzante
Gli schieramenti sopra delineati delle frazioni borghesi sono rimasti più o meno gli stessi del 2006, con la stessa “potenza di fuoco” mediatica. Il fattore decisivo nel determinare lo spostamento tra il voto del 2006 e del 2008 è stato, come abbiamo cercato di spiegare, l’esperienza del governo Prodi, per il quale erano state suscitate grandi attese tra una parte dei lavoratori, che avevano perfino fatto rientrare parte degli astenuti del   2001: attese andate deluse.
Collegata con questo c’è stata la caduta dell’impegno attivistico a sinistra, tra attivisti delusi, anche nel sindacato, cui ha fatto riscontro un aumentato attivismo in particolare della Lega, con un fitto lavoro sul territorio, in cui ha agitato le paure collegate a un’immigrazione in forte crescita, e al sottoprodotto della microcriminalità, temi amplificati in modo spesso becero dai mass media (nonostante il calo della criminalità negli ultimi anni). Questa agitazione ha fatto presa non solo tra gli strati proprietari, ma anche tra gli strati inferiori che risentono della concorrenza al ribasso sui salari degli immigrati, soprattutto quelli che le leggi tengono in condizione di irregolarità. La soluzione non è il razzismo e la xenofobia, ma dare a tutti la possibilità di lavorare legalmente, e di organizzarsi insieme ai lavoratori italiani, come già avviene in molte fabbriche.
 
L’esito istituzionale del voto è da un lato il consolidamento del sistema bipartitico, che permette una maggiore centralizzazione delle decisioni governative, e il varo di un nuovo governo Berlusconi che sulla carta avrà un’ampia maggioranza in parlamento. La borghesia avrà un nuovo governo, di centro-destra ma più statalista, più protezionista e nazionalista (vedi il caso Alitalia), più populista, liberista solo per il mercato del lavoro.
La sinistra radicale, che ha fatto da puntello al governo Prodi del grande capitale, è stata estromessa dal parlamento per questa legislatura. Ciò deve contribuire a fare chiarezza sulla illusorietà del parlamentarismo e della delega e sulla necessità dell’organizzazione e della lotta della massa dei lavoratori. Le persone più consapevoli devono assimilare la lezione, appresa in questi anni, che non è dalle promesse elettorali che i lavoratori possono aspettarsi un miglioramento delle proprie condizioni, ma solo dalla lotta come classe; che la vera opposizione al governo di centro-destra non è quella che porta a un governo di centro-sinistra. Centro-destra e centro-sinistra sono due varianti del dominio della borghesia. La difesa dei lavoratori, anche sul terreno politico, non avviene in parlamento, ma va condotta nei luoghi di lavoro e sul territorio, attraverso l’organizzazione in prima persona dei lavoratori, italiani e immigrati insieme. La militanza comunista è l’alternativa alla passività del voto.
 

Percentuali calcolate sugli elettori per i maggiori partiti,
e variazione sul 2006

 
N-O
N-E
Centro
Sud
Isole
Italia
PD
25,2
22,0
34,4
22,2
19,7
25,9
variazione su 2006 1
-0,4
-1,5
-0,1
-1,5
-1,4
-0,8
Di Pietro
4,9
3,4
3,2
3,9
2,5
3,8
variazione su 2006
3,1
1,5
1,8
1,7
0,2
1,9
Tot. PD-IdV
30,1
25,4
37,6
26,1
22,2
29,7
variazione su 2006
2,7
0,0
1,6
0,2
-1,2
1,0
PdL
26,6
22,6
28,6
32,9
31,8
28,8
variazione su 2006 2
-5,1
-7,8
-1,0
2,4
2,3
-1,7
Lega
12,8
18,1
2,4
1,6
4,1
6,9
variazione su 2006 3
5,1
10,0
1,1
1,2
1,7
3,3
Totale PdL+Lega
39,4
40,7
31,0
34,5
35,9
35,7
variazione su 2006
0,1
2,2
0,1
3,6
4,0
1,6
UDC
3,6
4,4
3,7
5,1
5,9
4,4
variazione su 2006
-1,7
-1,7
-1,7
0,1
-0,9
-1,2
Sin Arcobaleno
2,5
2,0
2,8
2,1
2,0
2,4
PCdL
0,5
0,3
0,6
0,4
0,3
0,4
Sin Critica
0,4
0,3
0,4
0,3
0,3
0,4
Tot. Sinistra
3,4
2,7
3,8
2,8
2,6
3,2
variazione su 2006 4
-5,2
-3,7
-6,1
-5,2
-3,8
-5,1
Tot. Destra (Destra-FT+FN)
2,1
2,0
2,8
1,6
1,5
2,1
variazione su 2006 5
1,7
1,5
2,3
1,1
1,1
1,6
altri
1,8
6,2
1,9
2,2
1,8
2,5
variazione su 2006
-2,0
-2,4
-0,1
-3,6
-2,0
-1,7
non voto
19,5
18,6
19,1
27,6
30,2
22,5
variazione su 2006
3,7
3,6
4,0
3,8
2,8
3,7

1. DS+Margh+2/3 Rosa n. Pugno; 2. PdL (FI+AN+DCNPSI+Muss); 3. Lega Nord fino Marche, da Lazio verso Sud Mov. Autonomie; 4. PRC+PdCI+Verdi; 5. Fiamma Tricolore

Grazie anche al sistema elettorale, la coalizione del Popolo della Libertà ha ottenuto il 54,6% dei seggi alla Camera e il 55,2% al Senato con solo il 35,7% degli elettori







Pubblicato su: 2008-04-30 (1765 letture)

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